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Roberta Zantedeschi

Zantedeschi: “Cerchi lavoro? Ricordati che stai offrendo valore”

Scrivere un CV, preparare una lettera di accompagnamento, raccontarsi su LinkedIn, sostenere un colloquio sono tappe importantissime quando si è alla ricerca di lavoro. La comunicazione in questi casi è fondamentale, ma quali sono gli errori più comuni e come evitare di commetterli?

Quando si è alla ricerca di nuove prospettive professionali non è sempre facile valorizzare se stessi, le proprie conoscenze e il proprio percorso. Una comunicazione carente o inefficace, non a caso, è una delle cause più comuni di un esito negativo, a parità di competenze.

Come si scrive un CV? E una lettera di presentazione o di accompagnamento? Come ci si prepara per un colloquio? Come si comunica sui social? Ne abbiamo parlato con Roberta Zantedeschi, HR business writer, consulente, formatrice e facilitatrice sui temi della comunicazione efficace e della relazione consapevole, nonché autrice del libro Comunicare e scrivere per trovare lavoro” (Hoepli).

Con Zantedeschi abbiamo cercato di capire come riuscire a esprimere al meglio se stessi, alla luce del fatto che saper comunicare nel mondo del lavoro è una competenza necessaria. E questo vale per il manager quanto per lo stagista.

Che ci piaccia o no, la nostra comunicazione influenzerà inevitabilmente il nostro percorso professionale. Trasformarla in una “killer skill”, ovvero in una competenza che permette di proporsi e argomentare in modo convincente, chiaro e autentico, è possibile. Ecco i consigli di Zantedeschi per riuscirci.

Nel mondo del lavoro saper comunicare è indispensabile, quali sono i principali errori che si commettono? 

Il primo errore, se così possiamo chiamarlo, è la mancanza di consapevolezza: per esempio pensare che la comunicazione serva solo in alcuni ruoli e non in altri, o che sia utile solo per cambiare lavoro e non nel lavoro di tutti i giorni. 

La comunicazione è un valore e una competenza che oggi serve a chiunque, non solo per cambiare lavoro.

Un altro errore, tipico di cerca lavoro, è pensare che comunicare significhi elencare le proprie conoscenze, competenze ed esperienze, mentre la comunicazione è in primo luogo capacità di entrare in relazione con gli altri, con i contesti e i fenomeni, in generale con il mercato del lavoro. 

Quindi è necessario entrare nell’ottica di una comunicazione più vicina al networking che all’invio massivo di CV

Gli errori più grossolani che vedo sono:

  • poca conoscenza di sé unita a una scarsa abitudine a parlare e a raccontarsi
  • un vocabolario scarno e descrizioni personali tutte uguali, che non sono in grado di differenziare 
  • curricula che sono la somma di date e dati, senza personalità e senza visione
  • un uso poco strategico della propria presenza social e digitale

Sintetizzando il grande errore è sottovalutare la competenza della comunicazione (quella interna e quella esterna, scritta e orale) e ignorare il valore del fare networking attraverso una presenza digitale consapevole, autentica e strategica.

Non è facile raccontarsi soprattutto quando si è alla ricerca di lavoro. Quali consigli ti senti di dare a chi deve candidarsi per una posizione e prepararsi per un colloquio? 

Il primo passo è quello di tenere bene a mente che si sta offrendo valore. Chi cerca lavoro è l’offerta, non la domanda: entrare in quest’ottica è fondamentale per concentrare su questo parte della propria narrazione.

È importante poi sviluppare una buona consapevolezza personale, curare la comunicazione con sé, avere chiaro cosa si ha da offrire sia in termini di capacità tecniche (hard skill), ma anche di competenze trasversali (soft skill), valori e visione

Per affrontare un colloquio serve allenare la capacità di parlare di sé, di raccontarsi, saper argomentare le proprie scelte, descrivere i propri progetti, trasferire la motivazione.

Nel libro ci sono molti consigli pratici ed esercizi che guidano le persone a fare chiarezza rispetto a ciò che stanno cercando e poi a trovare le modalità migliori per condividerlo con recruiter e potenziali datori di lavoro.

Oggi una delle competenze più richieste è il saper lavorare in team, che presuppone scambi costruttivi e quindi una comunicazione efficace. Come si coltiva l’empatia e la capacità di entrare in relazione con l’altro? 

Intelligenza emotiva e relazione consapevole sono competenze, questo significa che possono essere coltivate e fatte evolvere attraverso lo sviluppo di consapevolezza personale da un lato e di abilità sociali dall’altro.

Alcuni suggerimenti pratici:

  • imparare a riconoscere i propri schemi interni, gli automatismi, anche i pregiudizi che ciascuno di noi ha e che tendono a comparire proprio nell’incontro con gli altri: vederli e sospenderli è molto importante
  • allenare l’ascolto attivo, di sé e degli altri
  • sviluppare competenze di scrittura efficace e comunicazione consapevole: per lavoro scriviamo molto, scegliere le parole e saperle usare per ottenere l’effetto desiderato ad es., saper adattare il linguaggio al canale (scrivere una e-mail è diverso dal comunicare in chat) è una competenza indispensabile per lavorare in gruppo
  • imparare a fare domande e a dialogare non solo di contenuti professionali/tecnici ma anche relazionali. Investire quindi del tempo per prendersi cura in modo esplicito e intenzionale del rapporto con l’altro, chiedersi e chiederci “come stiamo nella relazione?” 

Anche di questo parlo nel libro quando spiego le quattro variabili della comunicazione efficace (contesto, relazione, canale e linguaggio) e i tre principi (consapevolezza, responsabilità e rispetto).

Che ruolo hanno la società, la scuola e il contesto personale su questa capacità? 

Direi fondamentale poiché determinano la cultura nella quale viviamo: i nostri comportamenti sono “frutto” di chi siamo ma anche del contesto socio-culturale nel quale siamo immersi.

Purtroppo a scuola non c’è una materia specifica che parla di empatia e di relazione consapevole, nemmeno di educazione ai sentimenti e alle emozioni. La maggior parte delle persone impara crescendo e interagendo con il mondo.

Auspico una presa di consapevolezza più alta, che renda sistemica l’educazione alla relazione consapevole e all’intelligenza emotiva poiché quando parliamo di benessere all’interno dei contesti lavorativi, parliamo di mettere le persone nella condizione di sapersi relazionare in modo positivo e consapevole con ciò che accade loro, e di riappropriarsi della facoltà di comprendere e scegliere.

Oggi questa facoltà, che è alla base anche della responsabilità, è debole. Contribuiscono a questa debolezza (anche) modelli organizzativi fondati sul controllo e una cultura della performance che per molto tempo non ha lasciato spazio ad altro.

Sono però fiduciosa, credo in un’evoluzione graduale e inarrestabile, sostenuta da una nuova consapevolezza e identità della funzione HR (sempre meno human resource e sempre più people, value & culture).

È cambiata la comunicazione nel post pandemia? 

La comunicazione, e così il linguaggio, riflette sempre i cambiamenti della società, del nostro vivere e della nostra consapevolezza, quindi sì, la pandemia ha avuto un impatto anche su questo.

Sia rispetto al contenuto, basti pensare ai fenomeni quali grandi dimissioni, quiet quitting ecc…: chi lavora sta dichiarando in modo forte e radicale il proprio malessere, emergono nuovi bisogni e nuove priorità.

Sia in merito alle modalità: con l’aumento di smart e remote working abbiamo imparato a comunicare sfruttando al meglio i canali e i linguaggi che più ci rendono efficaci a distanza. Nuove modalità di comunicazione che persistono e si aggiungono a quelle che usavamo pre-pandemia.

Il cambiamento della comunicazione, in termini di contenuto e di modalità, è forse uno di quei segnali più forti che ci fanno capire come non sia pensabile tornare indietro. 

I social sono delle vere e proprie piazze virtuali in cui raccontarsi, quali sono i pericoli a cui fare attenzione quando si comunica sui social? 

Il pericolo nasce quando ci esponiamo con comportamenti, dichiarazioni, commenti o reazioni che possono mettere in discussione la nostra reputazione, che contraddicono quanto scriviamo di noi sul CV o che mettono in luce lati di noi poco edificanti.

Dobbiamo pensare che chi fa recruiting potrebbe venire a vedere il nostro profilo Facebook e non conta che per noi Facebook sia lo spazio che usiamo per parlare dei fatti nostri ai e con i nostri amici (perché di lavoro parliamo su LinkedIn): se ci esponiamo come se fossimo nel nostro tinello (rubo questa analogia a Vera Gheno) pubblicando immagini, post o commenti con leggerezza (o peggio, con violenza, facendo uso di linguaggio d’odio), il rischio è di trasmettere un’immagine di noi controproducente sul piano professionale.

Dobbiamo anche ricordarci che online le tracce sono difficili da cancellare, possiamo eliminare un commento che ci è scappato troppo colorito o stizzito, ma non sappiamo, nel frattempo, chi l’avrà letto e se sarà stato screenshottato. 

In sostanza il modo migliore per usare i social (whatapp incluso) è quello di pensarli come luoghi dove un datore di lavoro può osservarci e comportarci di conseguenza. 

Dobbiamo sempre ricordarci che in rete “quello che sembra è” (cit) poiché i social sono luoghi dove le interazioni generano percezioni, che a loro volta influiscono sulle interazioni successive. 

Efficace, empatica, creativa… dovessi usare un aggettivo per la comunicazione di questo periodo storico quale sarebbe? 

Umana: nel bene e nel male. Non può che essere umana e riflettere l’umanità che la abita.

Rispetto al passato è più empatica, ampia (inclusiva), attenta e consapevole: una comunicazione che evolve con intenzione verso direzioni (scopi) culturalmente e socialmente evoluti.

Rispetto al passato è anche più polarizzata, spesso violenta e ancora troppo asimmetrica e spesso usata per controllare e manipolare.

Questa, a mio modo di vedere, è umanità. 

Ed è necessario guardare in faccia la realtà per scegliere, ogni giorno, come contribuire e partecipare alla trasformazione all’evoluzione che desideriamo.

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