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Quiet quitting e talent shortage? Nextopp: “Gli errori commessi dalle aziende in fase di recruiting possono essere fatali”

In un’epoca dove sono i candidati a scegliere le aziende e non solo viceversa, la reputation aziendale diventa fondamentale come anche poter contare su processi di recruiting e onboarding veloci ed efficaci. Ne abbiamo parlato con Gioia e Guenda Novena, Founder di Nextopp.

Quiet quitting e talent shortage: curare recruiting, onboarding e reputation è fondamentale

Fra le parole che più caratterizzano questo periodo storico c’è sicuramente cambiamento. È cambiato il modo di lavorare, ma anche l’approccio al lavoro. Le Grandi Dimissioni hanno dimostrato che le persone sono pronte a cambiare e non sono più disposte a sacrificare la vita privata in nome di quella professionale. Abbiamo parlato di come il cambiamento abbia trasformato il mondo del lavoro con Gioia e Guenda Novena, Founder di Nextopp, la prima piattaforma di ricerca lavoro in Italia progettata da Head Hunter.

Dopo le Grandi Dimissioni il Quiet Quiting. Sembra proprio che le persone si sentano sempre meno rappresentate delle aziende in cui lavorano per cui o se ne vanno o fanno il minimo richiesto dal loro ruolo.

Il recruiting centra qualcosa con il quiet quitting? Visto che ci occupiamo di recruiting, vorremmo dare una chiave di lettura del quiet quitting da questa prospettiva.

Il problema del quiet quitting può avere diverse cause sicuramente afferenti a tanti aspetti che intercorrono durante la vita delle persone in azienda, ma a nostro parere anche il modo in cui si selezionano i talenti può influire su questa dinamica. Gli errori commessi dalle aziende in fase di recruiting possono essere infatti fatali.

Per attutire il colpo, è necessario lavorare sul portare a bordo i giusti talenti. Le accortezze sono diverse, per citarne una: far sì che il candidato conosca il manager ed i colleghi prima di entrare in azienda può permettere di evitare uno scarso fitting con i colleghi e di assumere un collaboratore demotivato e che abbia maggiore probabilità di adottare l’atteggiamento del quiet quitting.

Quali sono oggi le figure professionali più richieste ma dove si trovano meno professionisti? 

Sicuramente l’ambito tecnologico e digitale è quello in cui si ricercano più figure ma anche quello in cui c’è più scarsità di offerta. Possiamo confermarlo anche grazie all’esperienza di Nextopp: le aziende ci richiedono con frequenza sviluppatori ma ancora l’offerta di lavoratori non eguaglia la richiesta da parte delle aziende.

Siamo fiduciosi però del lavoro svolto dalle numerose scuole di programmazione che stanno nascendo e che stanno inserendo nuovi sviluppatori sul mercato.

In un contesto così complesso cosa possono fare le aziende per attrarre talenti? 

Oggi non è più solo l’azienda a scegliere chi assumere, ma è anche il candidato a scegliere dove andare a lavorare. Alla luce di questo, le aziende devono comprendere l’importanza di riuscire a farsi percepire come dei datori di lavoro desiderabili. Secondo una ricerca condotta da InfoJobs, l’86% dei candidati s’informa sulla reputazione dell’azienda prima di rispondere a un’offerta di lavoro. Come si può lavorare sull’employer branding dal lato del recruiting?
1. Personal branding: curare e sviluppare il personal branding delle figure che si occupano di recruiting è essenziale per aumentare l’attrattività dell’azienda e trovare più talenti.
2. Stop al washing: le aziende, nell’impostare strategie di comunicazione che sposino cause ambientali e sociali, dovranno stare sempre più attente a evitare di utilizzarle esclusivamente con finalità commerciali e di marketing, ovvero cadendo nei cosiddetti casi di “washing” (pink washing, green washing, rainbow washing ecc.). 
3. Coltivare la relazione con chi ricerca lavoro: la creazione di una relazione di fiducia con il candidato parte già dal digitale. Creare contenuti utili per chi ricerca lavoro e gestire, durante la fase di selezione, un’esperienza candidate-friendly saranno sempre più delle strategie fondamentali per ricevere maggiori candidature e costruire una reputazione solida tra i lavoratori italiani. 

La pandemia ha cambiato il modo di lavorare, quali sono oggi le esigenze che chi cerca lavoro non è più disposto a mettere in secondo piano? 

Sicuramente esigenze legate alla salute mentale dei dipendenti; e l’interesse sul tema è evidente sia all’estero, ma anche in Italia.

Esempi virtuosi di aziende particolarmente attente a questo approccio, sono realtà come Unobravo e Serenis, che offrono già programmi di consulenza psicologica aziendale.

Altra esigenza è quella dello smart working: non più quindi il semplice “lavorare da casa”, bensì lavorare per obiettivi e da qualsiasi luogo. Ormai molte professionalità, tipo gli sviluppatori IT, accettano offerte di lavoro solo previa la presenza di questa modalità di lavoro.

Siete molto attive sui social con reel e video sul mondo del lavoro. Come è nata l’idea di utilizzare questi canali e che risposta state avendo? 

Abbiamo svolto una ricerca di mercato su tutte le società di ricerca e selezione del personale e abbiamo notato che nessuna di queste si focalizzava sull’offrire a candidati e professionisti del mondo risorse umane, contenuti formativi e informativi fruibili sui nuovi canali di comunicazione.

Da qui la scelta di puntare proprio su questi canali e soprattutto di adottare una comunicazione disruptive e che intrattiene, pur parlando di tematiche delicate e così strategiche per i lavoratori italiani.

Crediamo fortemente che il mondo HR abbia bisogno di abbracciare i nuovi modi di comunicare e che possa diventare un settore attrattivo, non più percepito solo come un settore fatto di temi ostici e associati ad ansia e preoccupazione.

Grazie a questa strategia abbiamo creato una community di più 90.000 lavoratori italiani che seguono ogni giorno sui nostri canali social rispetto alle tematiche del lavoro ed è la prima community in Italia che aggrega il fattore comune della “next opportunity” legato al mondo della carriera.

Se è vero che alcuni giovani faticano a trovare lavoro, è anche vero che anche molti over 50 si sono dovuti rimettere in gioco e cercare nuove opportunità. Quali consigli avete per questa fascia di lavoratori?

Molti over 50 nel mondo del lavoro italiano si sono affidati ai consigli dei nostri videocorsi proprio per affrontare questo rimettersi in gioco, e in effetti è un mindset non scontato per generazioni che fanno parte, sulla carta, di un mondo del lavoro statico e non aperto al cambiamento. Ma stiamo riscontrando moltissimi lavoratori italiani pronti a ribaltare questo status e i 2 consigli che diamo loro sono: 

adottare un mindset in “permanent beta”: significa che come un software viene aggiornato, io andrò ad aggiornare le mie competenze hard e soft; se al software vengono aggiunte nuove funzionalità, dovrò essere capace di considerare dei piani B nella mia carriera; se al software viene riscontrato un errore di sistema, vorrà dire che dovrò controllare eventuali mie carenze in ambito professionale e cercare di risolverle. Questo è il mindset che ti permette di stare al passo con il cambiamento e di essere tu a prendere quell’offerta di lavoro piuttosto che un altro collega.

apertura verso le nuove generazioni: piuttosto che rimanere ostili verso la generazione z ed evitare di comprendere la loro comunicazione e il loro approccio, percependoli quindi come “nemici”, mostrate al colloquio di lavoro, al vostro datore di lavoro e ai vostri colleghi che la contaminazione con la generazione precedente, in azienda, può essere solo che positiva e siate aperti nel fare emergere i punti di forza della vostra esperienza da una parte e dall’altra parte ad essere ricettivi rispetto a ciò che ha da insegnare la gen Z sia a livello di approccio che a livello di tecnologie.  

Guardiamo al futuro: cosa vi aspettate possa accadere nei prossimi anni al mercato del lavoro dopo un periodo così travagliato? 

In pandemia tante aziende si sono trovate costrette a reinventare i propri business: c’è chi li ha stravolti completamente, chi li ha semplicemente aggiustati, chi ha lanciato nuovi prodotti e servizi, chi si è inserito in settori diversi o complementari.

Il top management delle aziende si è reso conto che per fare fronte a questi cambiamenti in atto, doveva rivoluzionare la forza lavoro portandosi a bordo competenze.  Questo non vuol dire necessariamente che si sono trovate a dover licenziare, ma da un lato a formare le proprie persone per i loro nuovi business e dall’altro ad assumere risorse dall’esterno.

Il risvolto positivo è che le aziende hanno capito che con la giusta formazione potevano portare avanti attività che prima non avevano mai fatto e quindi far ricoprire loro ruoli diversi in settori diversi, rendendo quindi sempre più normale poter essere considerati per un ruolo che non si era mai svolto e/o per un settore in cui non si ha esperienza.

Quello che prevediamo è che nei prossimi anni, in concomitanza con la rivoluzione digitale in atto e uno sviluppo tecnologico sempre più accelerato, queste situazioni si presenteranno più di frequente e i lavoratori italiani dovranno essere preparati ad abbracciare cambiamenti di carriera con tempestività.

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