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Big Quit: il 64% degli under 35 pronto a lasciare il posto di lavoro in una PMI

Il fenomeno delle “grandi dimissioni” o “big quit” sta interessando soprattutto le fasce più giovani, tra i 26 e 35 anni. Come attrarre e trattenere le nuove generazioni? Sul tema Ruben Assandri, Head of Sales Italia e Emerging Markets Personio non ha dubbi e a HRNews dice: “Per la retention è indispensabile la condivisione dei valori“.

Manifestatosi negli Stati Uniti all’inizio del 2021, il fenomeno della cosiddetta Great Resignation ha continuato ad estendersi coinvolgendo un numero sempre maggiore di paesi – Italia compresa – e non si è ancora esaurito. Anzi, un numero via via più elevato di lavoratori, tra cui i giovani, lascia il proprio impiego per trovare altrove gratificazione professionale e un miglior equilibrio tra vita lavorativa e sfera privata. Tra millennials e giovanissimi si è diffuso persino #Quittok, il trend delle dimissioni in diretta su TikTok.

A fronte di questo, le aziende di tutto il mondo si sono trovate a dover fare i conti con un’improvvisa riduzione del personale e, di conseguenza, dei propri ricavi. È quindi evidente quanto sia fondamentale, oggi più che mai, che esse si pongano in reale ascolto di quelle che sono le esigenze delle proprie risorse, non solo nel qui ed ora, ma adottando strategie di wellbeing di lungo termine.

Lo studio di Personio condotto nel primo semestre 2022 rileva come il 46% dei dipendenti delle PMI di tutta Europa abbia in programma di cercare un nuovo lavoro nei prossimi 12 mesi (dato che vale anche per il mercato Italiano). E tale percentuale raggiunge il 64% nella fascia di età compresa tra i 19 e i 34 anni. È chiaro, dunque, che sono i più giovani quelli maggiormente inclini a cercare nuovi percorsi lavorativi. Dall’indagine, infatti, è emerso che quanti appartengono alla Generazione Z – nati tra il 1997 e il 2010 – e alla categoria più ampia dei Millennials – nati tra il 1981 e il 1996 – rappresentano le fasce di età più coinvolte nel Big Quit.

Dietro al fenomeno sembrano nascondersi una serie di bisogni considerati da giovani e giovanissimi fondamentali. Atmosfera di lavoro piacevole, buon equilibrio fra vita lavorativa e privata, retribuzione e benefit interessanti sono solo alcune delle motivazioni che portano i lavoratori di età compresa tra i 25 e i 35 anni a dimettersi.

Mentre le aziende di tutta Europa sono focalizzate sulle competenze, i risultati dello studio evidenziano quanto sia importante ristabilire un legame con i dipendenti e riconoscere le difficoltà che questi hanno dovuto affrontare negli ultimi anni. Soprattutto coloro che si trovano all’inizio della loro carriera.

Ne abbiamo parlato con Ruben Assandri, Head of Sales Italia e Emerging Markets Personio.

Big Quit, cosa induce i giovani a lasciare il lavoro?

In base all’indagine, sembra che i motivi principali all’origine delle dimissioni riguardino la sfera personale e, in particolare, il proprio livello di autostima: il 32% lascia il lavoro a causa di un ambiente troppo stressante, il 31% perché non ritiene di essere sufficientemente apprezzato o di non avere momenti di feedback costruttivo con i propri superiori, il 30% perché vede poche opportunità di avanzamento di carriera in relazione ai risultati conseguiti, alle competenze sviluppate e all’esperienza maturata.

E non è solo l’incentivo economico che può convincere a restare. In Italia, il 40% degli intervistati cita come possibile motivazione a non lasciare l’impiego un miglioramento del work-life balance, il 39% benefit più interessanti e il 22% opportunità di formazione e sviluppo, tanto più in un contesto in cui molti dei lavori del futuro – a breve e a medio termine – saranno probabilmente assai diversi da quelli attuali.

A proposito di burnout, alcuni studi hanno rilevato che si tratta di una condizione particolarmente frequente quando i lavoratori non condividono la linea e i principi dell’azienda. Più i bisogni e le convinzioni del singolo coincidono con la cultura aziendale, più il risultato operativo sarà ottimale, sia in termini di performance che di benessere psicologico.

Quali sono i valori che guidano le scelte professionali?

Per quanto riguarda i valori delle generazioni più giovani, dalla ricerca emerge come per il 41% dei Millennials italiani siano prioritari i temi dell’uguaglianza e dell’equità e come per il 68% lo sia la trasparenza. Rispetto ai bisogni più rilevanti, invece, vi sono l’essere partecipi e attivi e il fatto di poter prendere parte ai cambiamenti.

Relativamente alla Generazione Z, le tematiche che sembrano giocare un ruolo cruciale sono l’autenticità, la trasparenza, l’inclusività, la diversità, l’apprendimento continuo e l’attenzione all’ambiente. Dai dati emersi dallo studio di Personio, i rappresentanti della Gen Z sono disposti ad abbandonare il proprio lavoro qualora questo si dimostri privo di significato e il 74% dei più giovani dichiara di voler lavorare per una società che si pone obiettivi più alti del solo profitto.

Tra le esigenze che guidano le scelte lavorative di entrambe queste generazioni vi sono la crescita professionale, la salute mentale e il well-being (73% per le fasce di età più giovani), il tempo libero, la flessibilità e, infine, lo stipendio. In generale, dunque, sembra sia cambiato il significato che le nuove generazioni attribuiscono al lavoro.

Alla luce dei risultati dell’indagine, qual è la principale sfida che le aziende si trovano a dover affrontare e come possono superarla?

La sfida che le aziende sono chiamate ad affrontare riguarda, da un lato, la capacità di trattenere le proprie risorse e, dall’altro, quella di attrarne di nuove. È, quindi, sempre più evidente quanto sia fondamentale conoscere la propria forza lavoro, porsi in ottica di ascolto e di comprensione di quelli che sono i suoi bisogni, i valori e le difficoltà, così da anticipare (o ridurre) il rischio di dimissioni.

In questo ambito emerge come sempre più rilevante il legame tra Human Resource Management (HRM) e performance. Valide pratiche HRM sono in grado di influenzare positivamente il livello di engagement e la motivazione dei dipendenti, contribuendo a risultati positivi per le organizzazioni. Infatti, la funzione HR – proprio per la posizione strategica che occupa – può giocare un ruolo cruciale nello sviluppo di una cultura aziendale efficace e allineata alle esigenze dei dipendenti.

È cruciale che i responsabili delle risorse umane e i datori di lavoro si concentrino su coloro che in azienda, si sentono isolati e trascurati, cercando di coglierne le preoccupazioni e gli obiettivi professionali.

Le aziende che implementano una strategia HR capace di soddisfare le esigenze del proprio personale, sono poi quelle che possiedono i migliori strumenti per fare fronte a eventuali insoddisfazioni e per evitare, nel peggiore dei casi, un esodo di talenti.

Quando le persone si sentono ascoltate e considerate vi è un incremento in termini di soddisfazione lavorativa e di coinvolgimento. E questo rappresenta un’importante leva strategica volta a favorire l’inclusione e, dunque, la retention.

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