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Lavoro pubblico, Carlomagno (FLP): “Sottovalutato. Può essere un volano per il Paese”

Il lavoro pubblico in Italia viene spesso criticato e additato come inefficiente, ma è davvero così o forse non si è fatto abbastanza per valorizzare quella che può essere un’importante risorsa per il Paese?

Dai furbetti del cartellino ai pigri da sportello, non mancano i casi in cui i dipendenti pubblici non abbiamo brillato per efficacia ed efficienza.

Se è facile criticare, non lo è fare un’analisi accurata di un settore, dove forse, la politica per prima, ha fatto ben poco per contribuire a rendere l’apparato pubblico un fiore all’occhiello del Paese, come dovrebbe essere.

Troppo spesso si è preferito sprecare risorse invece di valorizzarle, rendendo la macchina pubblica troppo lenta, burocraticizzata, clientelare e mal funzionante.

E in Italia non mancano i problemi anche sul fronte del settore privato, dove persistono pratiche di lavoro nero, precariato, sfruttamento, scarsa sicurezza e compensi non adeguati al costo della vita.

Cosa si può fare per rilanciare il lavoro nel settore pubblico e in quello privato? Con la nuova Legge di Bilancio si sta andando nella giusta direzione? Lo abbiamo chiesto a Marco Carlomagno, Segretario Generale di FLP (Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche), in servizio presso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e docente di Diritto tributario, civile e del lavoro.

Carlomagno è stato componente del Gruppo di Lavoro “Mercato del Lavoro” della Commissione per le Politiche del lavoro e dei Settori Produttivi del CNEL e del Gruppo di monitoraggio della “Sperimentazione del lavoro agile” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre a essere nel “Comitato unico di garanzia” dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, dell’Agenzia delle Entrate e del CNEL.

Secondo la Costituzione, l’Italia è una nazione fondata sul lavoro, ma in questi anni caratterizzati da precariato, ambienti di lavoro insicuri, compensi al limite della sopravvivenza, è davvero così? 

Indubbiamente in questi decenni molte delle parti della nostra Carta costituzionale sono state solo parzialmente applicate o forse disattese.

Sicuramente sulla centralità del lavoro si sono registrati i maggiori disallineamenti.

Sulle politiche del lavoro le forti spinte datoriali, troppo spesso ispirate a logiche di risparmio e di maggior profitto, non hanno sempre garantito il dispiegarsi di un giusto equilibrio.

Oggi, più di ieri, due sono le principali problematiche che si presentano: ovviamente quella del lavoro precario, sottopagato e discontinuo, ma anche quella del lavoro nero che, come sappiamo, è ancora fortemente utilizzato, specialmente nelle regioni del Sud.

La sicurezza sul lavoro, come dimostra in modo impietoso l’aumento delle morti sui posti di lavoro, è stata considerata incredibilmente un costo, e non invece una esigenza fondamentale per garantire un lavoro sicuro, dignitoso e di qualità. I pochi investimenti, la parcellizzazione delle funzioni ispettive e il recente depotenziamento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro purtroppo sono la conferma che su questo bisogna fare molto di più.

A questo si aggiunge la grande questione degli stipendi e dei salari, che nel nostro Paese, come confermato più volte da molti istituti di studio e di ricerca, sono tra i più bassi del mondo industrializzato e dell’Unione europea. Questa è una criticità che va assolutamente sanata per rimettere al centro delle politiche il buon lavoro, fattore di crescita e sviluppo.

Il governo Meloni ha recentemente approvato la legge di Bilancio con una serie di misure per aiutare i lavoratori. Ritiene che la manovra vada nella direzione di un lavoro più equo e sostenibile o ci sono aspetti che, secondo lei, sono stati trascurati?

Il disegno di legge di bilancio 2024 presenta indubbiamente alcuni aspetti interessanti relativi al mondo del lavoro e una certa attenzione verso il lavoro dipendente. La conferma del taglio del cuneo fiscale, l’intervento sul welfare aziendale e l’iniziativa sul rinnovo dei contratti di lavoro pubblici, per i quali è prevista l’erogazione di un anticipo a fine 2023 e uno stanziamento per il 2024, dovrebbero garantire l’apertura del negoziato per contratti che sono scaduti a dicembre del 2021 e la cui vigenza è il triennio 2022-2024.

Tuttavia, dobbiamo rilevare come, pur tenendo conto di una situazione di scenario molto difficile, derivante sia dall’alto livello del deficit pubblico che dalla situazione internazionale, gravemente compromessa dai conflitti in Ucraina e da qualche giorno anche in Medioriente, sicuramente si può e si deve fare di più.

Occorre rimettere al centro delle politiche di sviluppo del nostro Paese la tenuta del potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, falcidiati dall’inflazione a due cifre dell’ultimo periodo, riuscendo a recuperare risorse per garantire il potere d’acquisto e, quindi, consumi adeguati per il rilancio del Paese. È necessario, inoltre, puntare sulla valorizzazione professionale dei lavoratori, dando attuazione nel pubblico al nuovo ordinamento scaturito dal Contratto 2019/2021, che oggi risulta ancora in gran parte inattuato.

Una Pubblica amministrazione efficiente è una risorsa per il Paese e le risorse investite su di essa possono essere un volano e un moltiplicatore di servizi più efficienti.

Anche se non direttamente collegato alle politiche del lavoro, l’intervento sulle pensioni di chi ha lavorato per una vita, risultano penalizzanti sia nella parte relativa alla parziale rivalutazione, che nelle modalità di uscita e quindi di accesso alle prestazioni, oltre alla modifica retroattiva delle aliquote di rendimento per alcune categorie di iscritti alle Casse amministrate dal Tesoro.

Da mesi si parla di salario minimo. Una misura secondo alcuni indispensabile per evitare il lavoro povero, mentre altri lo ritengono inutile e anzi dannoso. Sulla questione che idea si è fatto? 

Nel nostro Paese, gli stipendi sono tra i più bassi del mondo industrializzato e dell’Unione Europea. Il lavoro in Italia è sottopagato, precario e poco sicuro. È indubbio che la contrattazione e la negoziazione tra le parti siano gli strumenti principali per garantire una dinamica corretta all’interno di un sistema partecipato, che prevede uno specifico riconoscimento per il ruolo fondamentale delle parti sociali.

Tuttavia, la realtà attuale è caratterizzata da una situazione che si è sempre più deteriorata negli ultimi decenni, a causa della sostanziale sottovalutazione del valore-lavoro e del disconoscimento dei diritti dei lavoratori. A fronte di situazioni di dumping salariale e di personale supersfruttato, anche i contratti nazionali di lavoro, quando sono sottoscritti, scontano anni di ritardo e riconoscono quote di salario assolutamente inaccettabili, sotto una soglia minima di sopravvivenza che garantisca la dignità del lavoratore. Senza dimenticare che esiste una parte di lavoratori ai quali non si applica alcun contratto.

In buona sostanza, non è detto che la contrattazione possa sempre essere capace di rispondere all’esigenza manifestata di giusta retribuzione a fronte della prestazione lavorativa, sia per le posizioni spesso assunte dalle controparti datoriali che per la presenza ancora diffusa di un sindacalismo “giallo”.

La legge può fissare un valore minimo sotto cui non è possibile, non è dignitoso, remunerare il lavoro, che non è solo un fattore di crescita dell’economia e di realizzazione di beni e servizi, ma è anche una grande opportunità di valorizzazione della persona. Questo del resto avviene già da tempo in molti Paesi.

Quali sono le principali criticità dei lavoratori pubblici oggi? 

In Italia, il lavoro pubblico è sempre stato sottovalutato e considerato dalla politica per decenni come una risposta clientelare per tenere in piedi un pezzo di Paese che non trovava occupazione nell’impresa e nel terziario o, di converso, un costo improduttivo.

La visione giuridica amministrativa, che ha permeato storicamente le nostre amministrazioni, si basa su una rigida impostazione burocratico-formale, estremamente gerarchica e chiusa alle esigenze dei cittadini, delle imprese e dello stesso personale.

Questo approccio ha comportato un profondo ritardo e mancate innovazioni, duplicazioni organizzative, forme di lavoro ancora fortemente gerarchizzate, con ricadute negative sulla qualità dei servizi e delle prestazioni rese a cittadini ed imprese.

Tuttavia, le pubbliche amministrazioni rappresentano l’ossatura di uno Stato e del suo funzionamento. È quindi un obbligo, non un’opzione, lavorare per innovare profondamente la pubblica amministrazione, definendo chiaramente gli ambiti di competenza di Stato, regioni e autonomie locali.

È inoltre necessario recuperare risorse dalle esternalizzazioni e privatizzazioni, che negli ultimi decenni hanno provocato un grande sperpero di denaro invece di garantire maggiore efficienza.

I processi della pubblica amministrazione devono essere digitalizzati e ripensati.

È fondamentale investire nella formazione e nella carriera dei dipendenti pubblici, valorizzando il personale e riconoscendo la sua professionalità e il suo senso di appartenenza. Inoltre, è necessario garantire la dignità del lavoro pubblico e riconoscere retribuzioni adeguate al lavoro e alle responsabilità richieste.

È infine importante, per rendere la pubblica amministrazione italiana più efficiente e in grado di fornire servizi di qualità ai cittadini e alle imprese, implementare gli organici, in quanto l’Italia ha un numero di dipendenti pubblici inferiore alla media europea.

Il mondo del lavoro è profondamente cambiato dopo il 2020, lo smart working, la digitalizzazione e le grandi dimissioni, hanno segnato questi ultimi anni. Cosa si aspetta per il futuro? 

La pandemia ha rappresentato un’opportunità per accelerare la trasformazione digitale del lavoro, dimostrando come l’utilizzo della tecnologia possa essere non solo uno strumento per contrastare situazioni di grande criticità, come quelle dell’emergenza sanitaria, ma anche uno straordinario momento di intervento sulla congestione dei nostri centri urbani e metropolitani, un fattore di risparmio energetico e anche di maggiore conciliazione vita-lavoro.

In molti casi, in quel drammatico periodo, si è riusciti mantenere i livelli di produttività e a migliorare la fruibilità dei servizi che, con una rigida organizzazione del lavoro basata sulla mera presenza fisica, non sarebbe stato possibile ottenere.

Stiamo vivendo una sfida importante che mette in discussione i modelli organizzativi degli uffici, delle amministrazioni e delle imprese. Questa sfida stimola la capacità e l’autonomia dei lavoratori, delle lavoratrici e delle diverse professionalità all’interno del mondo del lavoro. Costringe chi vorrebbe restare immobile, ancorato al mantra del “si è sempre fatto così”, a innovare i modelli organizzativi e i processi lavorativi e a renderli più aperti e fruibili.

In Italia c’è ancora molto da fare per contrastare la situazione di arretratezza nei posti di lavoro, sia nel privato che nel pubblico. Dobbiamo evitare un ritorno al passato rafforzando le nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa per rendere più attraenti i posti di lavoro, a fronte di una nuova forza lavoro che è molto più esigente rispetto al passato sui temi della conciliazione vita-lavoro e sui livelli di autonomia che vengono riconosciuti nella attività lavorativa.

Le nostre amministrazioni e le nostre imprese hanno bisogno di professionisti altamente qualificati. È chiaro che più elevata è la richiesta di manodopera specializzata, più le aziende e le amministrazioni devono essere in grado di adeguare i propri modelli organizzativi e i propri processi lavorativi alle nuove esigenze e alla nuova tipologia di professionisti e lavoratori.

Se non si è in grado di venire incontro a queste esigenze, si rischiano situazioni come quelle che si sono verificate in questi mesi negli uffici pubblici, dove a fronte di una ripresa delle assunzioni dopo decenni di blocchi, si fa fatica ad assumere proprio perché vi è una coesistenza di bassi stipendi, mancata innovazione e rigidità dei modelli organizzativi.

Un altro grande tema del momento è l’AI: l’intelligenza artificiale arriverà a sostituire l’uomo generando sacche di disoccupazione? 

Le innovazioni tecnologiche hanno sempre avuto, nel breve periodo, una diretta correlazione con l’andamento dei livelli occupazionali. Tuttavia, ciò non significa che la digitalizzazione e le innovazioni debbano essere combattute, in quanto nel medio e lungo termine, le innovazioni tecnologiche possono creare nuovi posti di lavoro, in particolare quelli che richiedono competenze tecniche e professionali.

La sfida deve essere quella di mettere insieme tutte le potenzialità delle nuove tecnologie, quindi la capacità di rendere disponibili informazioni, di migliorare i prodotti, di renderli più sicuri, di allargare le conoscenze, con la possibilità di utilizzare le risorse umane nei settori che ancora oggi invece vedono una mancanza di personale o un basso livello di professionalizzazione.

Infatti, nel medio periodo e poi nel lungo termine, la forza lavoro si adegua alle nuove professioni che la tecnologia impone, sia mediante procedure di riconversione professionale che con la creazione di nuove professionalità. In questo ambito, il rapporto tra nuove tecnologie e andamenti occupazionali rappresenta una sfida che va colta.

È necessario, pertanto, investire nella formazione e nella riconversione professionale, per garantire che la forza lavoro sia in grado di adattarsi alle nuove esigenze del mercato del lavoro e sia dotata delle competenze necessarie per le nuove professioni. È inoltre necessario creare un ambiente favorevole all’innovazione, per promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro.

L’Intelligenza Artificiale (IA) è una delle sfide da affrontare per accompagnare le innovazioni con l’allargamento dei settori e dell’economia, con la creazione di nuovi prodotti più sicuri e moderni e con la possibilità di rendere più fruibili e accessibili nuovi servizi ai cittadini e alle imprese.

Un recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) dal titolo “Generative AI and Jobs” sostiene che l’intelligenza artificiale può aumentare i posti di lavoro automatizzando alcune mansioni piuttosto che sostituirle.

Sicuramente è un problema all’ordine del giorno dei Paesi industrializzati. Tuttavia, è evidente che non si può fermare il futuro né fermare la tecnologia. La capacità delle classi dirigenti e degli economisti nel campo dell’organizzazione dell’economia sarà quella di riuscire a tenere insieme sempre più alti livelli di tecnologia, manodopera e prodotti di qualità.

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