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Fabiana Andreani e i consigli per lavoro e carriera

Il percorso di studi? Non ti rende il miglior candidato. Parola di Fabiana Andreani

Lei si chiama Fabiana Andreani e grazie a dei reel ironici e intelligenti è diventata uno dei volti più noti si TikTok e su Instagram parlando di CV, carriera e risorse umane.

Fabiana Andreani si è laureata in Relazioni Internazionali e dopo un’importante esperienza in Giappone con un dottorato in linguistica giapponese, si è resa conto che la carriera diplomatica non faceva per lei. Così a 29 anni entra nel mondo dell’orientamento al lavoro. Un amore a prima vista quello con la formazione e le risorse umane che l’ha portata a diventare @fabianamanager, la “zia” che dispensa consigli parlando di curriculum e colloquio su TikTok e Instagram, seguita da centinaia di migliaia di follower.   

Come è nata la tua attività sui social?

Questa attività è nata dalla mia esperienza lavorativa. Ho lavorato 11 anni nell’ambito della formazione in business school private occupandomi di orientamento e carriera per neolaureati, poi circa tre anni fa ho dato vita al mio primo canale TikTok. L’ ho aperto per diletto, per provare questo nuovo social.

Devo dire che i social mi sono sempre piaciuti, come mi piace fare video e parlare in pubblico. E così ho iniziato a fare brevi video e stories. Il profilo è cresciuto in modo esponenziale, tanto che ho deciso di aprire anche Instagram.

Allora lavoravo full time, non ero assolutamente conscia delle potenzialità di questi canali, ma c’è stato un continuo crescendo, che mi ha portata nel 2022 a decidere di lasciare il mio lavoro a tempo indeterminato per dedicarmi ai contenuti per i miei profili social. In poco tempo mi sono creata un lavoro affine a quelle che erano le mie caratteristiche e le mie esigenze.

Quali sono i tuoi contenuti che hanno avuto più successo sui social?

Ti dirò che sono rimasta abbastanza stupita perché pensavo di parlare di argomenti che fossero già molto conosciuti, invece, ogni volta che faccio un video sul curriculum ottengo centinaia di migliaia di visualizzazioni.

Mi sono resa conto effettivamente che c’è una carenza di orientamento. È vero che c’è molta informazione disponibile, è vero anche che le nuove generazioni sono molto più istruite rispetto a quelle precedenti, però manca una guida e c’è una sorta di paura di non sapere come trovare le opportunità.

Quindi quello che faccio è essenzialmente rispondere alle domande di chi mi segue cercando anche di dare un messaggio di fiducia.

La mia attività prevede da un lato la divulgazione, nel senso insegno a fare qualcosa, e dall’altro incentivo un certo positive model, nel senso che racconto la mia storia, dico che ho fatto un percorso a zig-zag ma che sono riuscita ad avere dei bei risultati e ho raggiunto bei traguardi, senza rispettare le tempistiche imposte dai modelli attuali.

Uno dei video che ha avuto più successo è quello dove ho raccontato che io con quello che ho studiato non ci ho fatto nulla, anche se quello che sono ora lo devo a quello che ho fatto prima. Quindi nulla è andato sprecato. In tanti si sono riconosciuti.

Il leit motiv nella creazione dei miei contenuti è la leggerezza, io non parlo mai di lavoro con pesantezza né tantomeno con pessimismo. Forse anche per questo piacciono.

Quali sono state le tappe principali che ti hanno portata a essere quella che sei oggi?

Sono nata in un paesino in una provincia dell’Umbria. Essendo la prima laureata della famiglia il mio percorso professionale me lo sono dovuta costruire da sola. Ho studiato Relazioni Internazionali perché la mia idea era quella di viaggiare e infatti grazie a un dottorato di ricerca in linguistica giapponese sono andata in Giappone.

Ho portato avanti per un po’ di tempo la ricerca poi ho deciso di cambiare vita perché sentivo che la ricerca non era nelle mie corde e alla soglia dei trent’anni mi sono trasferita a Milano. Lì sono entrata nella macroarea delle risorse umane, nella fattispecie mi occupavo di formazione.

È stato un colpo di fulmine perché ho trovato quello che realmente mi piaceva fare: l’attività di orientamento e la costruzione di percorsi di formazione per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro che cambia.

Si tratta di un’attività che mi ha permesso e mi permette di avere una visione completa sulle nuove professioni, dove le esigenze delle aziende si stanno spostando, ma anche su quello che le nuove generazioni cercano e provano.

Il tuo è stato un percorso non lineare, ma il mercato del lavoro italiano è pronto ad apprezzare break e percorsi a zig-zag?

I momenti di break non sono periodi dove le persone si riposano ma dove si dedicano a formarsi o ad altro che ha in quel momento la priorità.

Linkedin ha fatto una ricerca la scorsa primavera dimostrando che più della metà dei HR manager di aziende con più di 500 dipendenti è pronta a valutare le persone con dei break di carriera nel curriculum perché ciò che conta è la valutazione complessiva e l’attitudine della persona.

Un’altra mia piccola crociata che sto portando avanti è legata al retaggio che il percorso di studi debba necessariamente validare un candidato. Secondo me è un’idea superata e da superare.

Uno stop nel lavoro o negli studi e cambiamenti di carriera non mi rendono un dipendente difficile o meno adatto di altri.

Questi sono dei bias mentali che purtroppo in alcune strutture ancora esistono. Fortunatamente le aziende più grandi e di matrice internazionale invece fanno strada, portando dei modelli basati sulla valutazione complessiva del candidato.

A chi ha avuto, come me, un percorso a zig-zag, dei break, una carriera non lineare, consiglio di fare attenzione a come si racconta. Il personal branding prevede anche che ci si crei una narrazione personale.

Se racconto gli stop e i cambiamenti come una sorta di capitalizzazione di valori, di attività e di maturazione, l’impressione che trasmetto è quella è una persona consapevole che ha fatto delle scelte che sa ponderare quello che è il percorso più adatto a se stessa.

Ecco allora che l’azienda capisce che si trova di fronte a una persona indipendente che sa far fronte a quelle che sono le necessità del momento perché ha una buona capacità di discernimento.

Quali consigli vorresti dare a chi si sta affacciando sul mondo del lavoro?

Consiglio prima di tutto di agire con un modello concreto nel senso di capire geograficamente dove vuoi lavorare e capire cosa offre quella zona geografica, oltre a fare un’analisi di quelli che sono i propri sogni, le proprie possibilità e le proprie priorità.

È importante capire quali risorse ho a mia disposizione per arrivare dove desidero. Dopodiché bisogna capire quali sono i nostri obiettivi e le competenze necessarie.

Un’altra cosa fondamentale è lavorare sul messaggio che vogliamo lasciare di noi stessi. il curriculum è uno degli elementi, come anche il profilo su LinkedIn.

Suggerisco inoltre di coltivare il networking. Quando si cerca lavoro è utile farlo sapere ai nostri contatti fisici e online e poi essere aperti e ricettivi verso le opportunità, fare i colloqui con consapevolezza, capendo che ogni colloquio è un’opportunità che l’azienda ti dà per vedere dall’interno come funziona, quindi di conseguenza anche noi siamo nella posizione di valutare, non dobbiamo sentirci solamente valutati.

Quindi, se dovessi sintetizzare il tutto, direi che la consapevolezza è la prima cosa, una volta capite le nostre competenze e definiti i nostri obiettivi, dobbiamo iniziare a lavorare sulla nostra immagine personale ed entrare in azione.

E quali suggerimenti ti senti di dare alle aziende che vogliono attrarre giovani talenti?

Suggerisco di creare un ambiente che sia davvero inclusivo. E per inclusivo intendo su tutti i fronti, non solamente verso le donne o alcuni tipi di disabilità, perché per esempio c’è bisogno di molta più sensibilità verso le neurodivergenze o le malattie croniche.

Dopodiché è importante che capiscano i valori dei talenti che vogliono attrarre e farli propri e riuscire a essere una realtà dove il purpose personale sia allineato a quello aziendale. È impossibile, infatti, pensare che una persona resti in un’azienda che non gli assomiglia.

L’onboarding è una fase fondamentale. Bisogno essere in grado di portare la persona a essere in breve tempo sia capace dal punto di vista operativo ma anche e soprattutto collegata con gli altri dipendenti.

Vorrei anche sottolineare che è vero che le nuove generazioni chiedono di poter lavorare da remoto ma vogliono anche avere la possibilità di lavorare in presenza perché si impara tantissimo dal vivo, chiedendo, condividendo delle esperienze.

I giovani vogliono avere flessibilità ma anche vivere il team e sentirsi parte di esso.

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