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Massimo Rosa, head hunter autore de Il Codice delle Risorse Umane

Persone trattate come cose? Massimo Rosa: “Care aziende, la festa è finita”

“Qualunque sia la tua attività ricordati che il tuo core business sono sempre le Persone”, questo il pensiero di Massimo Rosa, head hunter “politicamente scorretto”, conosciuto su LinkedIn (e non solo) per i suoi post senza peli sulla lingua sul mondo della selezione del personale.

Chi si occupa di risorse umane è sicuramente incappato in un post su LinkedIn di Massimo Rosa, head hunter cuneese con oltre 30 anni di attività alle spalle che, senza mezzi termini racconta delle verità, talvolta scomode per aziende e recruiter.

Quali? Per esempio, che le persone scappano da aziende blasonate che dicono di essere human centric, che recruiter e direttori del personale devono scendere dal piedistallo e occuparsi veramente dei loro collaboratori, che chi dice di non trovare giovani con voglia di lavorare forse solo non offre delle condizioni di lavoro accettabili.

Non solo, Rosa è noto anche per essere stato scelto dalla produzione di Sky per interpretare se stesso nella prima edizione di The Apprentice al fianco di Flavio Briatore.

Massimo, è una delle voci più dissacranti di LinkedIn sul mondo del lavoro, qual è il messaggio più scomodo che deve arrivare alle aziende? 

Che la festa è finita. O meglio, che potranno continuare a generare utili ad una condizione: perseguirli tramite la soddisfazione dei propri dipendenti e non a discapito della loro pelle.

Al netto di qualche multinazionale che può ancora permettersi di macinare le persone come gli pare (ma anche per loro durerà poco) la maggior parte delle imprese sta constatando che l’aria è cambiata e gestire una sana politica di engagement non è così facile. Le persone si sono davvero stufate di stare in posti dove non vengono valorizzate, mal retribuite e in alcuni casi addirittura bullizzate, hanno capito che non ne vale la pena e hanno cominciato a scegliere.

Mi piace dire che “Il benessere del dipendente è il Re” perché riassume perfettamente il periodo storico che stiamo attraversando e che se da una parte stiamo arrivando a questi concetti in maniera del tutto naturale dall’altra dobbiamo constatare che nonostante si parli di crisi dei posti di lavoro esiste la necessità reale di creare posti di lavoro di qualità che soddisfino le persone.

L’obiettivo principale di ogni buon capitano d’impresa moderno deve diventare quello di creare ambienti di lavoro dove i lavoratori si sentano a loro agio, la sua principale missione dev’essere quella di indurre le persone a considerare il rischio di lavorare con lui.

Allineare le aspettative delle persone a quanto la sua azienda offre loro è un successo conclamato.

Considerando che senza i dipendenti nessuno avrebbe un business credo sia palese rendersi conto che la soddisfazione del cliente finale tramite prodotto o servizi è possibile solamente se a monte esiste la soddisfazione dei collaboratori e dipendenti.

Qualunque sia la tua attività ricordati che il tuo core business sono sempre le Persone.

Si definisce un head hunter “politicamente scorretto”, in cosa è “scorretto”? 

Non mi definisco, in realtà è solo uno dei molti soprannomi che mi sono stati affibbiati in questi ultimi anni. Ho scelto “Head hunter politicamente scorretto” perché evoca esattamente quella che è stata la linea della comunicazione che mi ha contraddistinto sin dall’inizio.

In tempi non sospetti, sono stato il primo ad parlare di cose di cui nessuno aveva mai parlato usando toni e modi che nessuno aveva mai usato.

Il settore delle HR era ingessato e autoreferenziale e mi pareva giusto che qualcuno lo dicesse a voce alta.

Ho svelato i retroscena della ricerca e selezione del personale ed ho buttato giù dal piedistallo recruiter e direttori del personale che si credevano intoccabili e venivano riveriti dai candidati intimoriti.

Oggi mi piace credere che anche grazie a me si sia finalmente preso atto che chi opera nelle risorse umane non può continuare a considerarsi un “prescelto” e tanto meno possiede superpoteri, ma svolge, a volte bene a volte male, una normalissima professione come chiunque altro.

Ha appena pubblicato Il Codice delle Risorse Umane, quali sono i capisaldi del suo codice? 

Il Codice delle Risorse Umane” non è un manuale per addetti ai lavoro, il che per certi versi è un bene.

Ho voluto dare risposte semplici a domande complesse che la aziende, gli imprenditori e coloro che si trovano a gestire personale si pongono tutti i giorni.

Dopo aver conosciuto centinaia di aziende, aver effettuato migliaia di colloqui di selezione e soprattutto grazie agli oltre 15 milioni di lettori attivi che quotidianamente leggono e pubblicano le loro esperienze a commento dei miei articoli,  ho concentrato in un codice sorgente queste conoscenza.

Sul tema delle risorse umane e della selezione del personale esiste ormai una sostanziosa bibliografia che ci spiega in alcuni casi come gestire e organizzare i lavoratori in base ad astrusi modelli organizzativi che per essere giustificati e per avere una logica hanno bisogno di una grande fantasia.

Spesso si tratta semplicemente di tomi di carte che contengono inglesismi con i quali si cerca di giustificare il vuoto delle stesse teorie che descrivono.

Il vero problema è che alcune aziende li considerano dei totem sacri e con questi modelli cercano di imbellettarsi un po’ il viso,  salvo poi scoprire nei fatti che la realtà delle risorse umane che vivono in azienda è ben diversa.

L’umore (e il malumore) delle persone che cova sotto la cenere scopriamo essere invece determinato, non dai tavolini da ping pong o dalle relax area, delle quali pare non fregare nulla a nessuno, tranne che al direttore delle risorse umane che se va bene ci pubblica un post e raccatta qualche like, ma dall’assoluta indifferenza con la quale viene gestito il rapporto di lavoro e dalla sua scarsa sostenibilità.

Persone = Cose, sembra essere il tema ricorrente che guida anche le aziende più blasonate.

Con questo manuale ho l’intento di produrre un cortocircuito nel sistema e rimettere le cose al loro posto.

Ho dedicato gli ultimi 30 anni di attività ad indagare con curiosità e rispetto quali fossero davvero gli elementi che trasformano un freddo rapporto di lavoro in una relazione fra persone ricca e produttiva.

Ho ascoltato con attenzione testimonianze di candidati che mi hanno confidato come si siano trovati male in aziende che si fregiano del marchio “Great Place To Work“, mentre hanno ottenuto riconoscimento e gratitudine in altre che, magari anche senza budget da dedicare a quel tipo di iniziative, si sono rivelate umane ed attente alle esigenze dei propri collaboratori.

Tutto dipende infatti da chi vi abita e da quanto ossigeno vi si può respirare.

Quello che è sicuro è che di questi posti ne esistono più di quanti ne possiamo immaginare e, se non li troviamo, allora è venuto il momento di costruirne uno noi, senza aspettare che siano gli altri a cambiare quello su cui possiamo intervenire.

Il Codice delle Risorse Umane” è una guida semplice per trasformare aziende in crisi con il personale in “Aziende del Buon Lavoro” attraverso un piano guidato di 30 giorni.

Le aziende sono alle prese con la talent attraction e retention, ma spesso e volentieri il processo di selezione e onboarding è lungo, tortuoso e respingente. Cosa è urgente cambiare? 

Ho cominciato ad occuparmi di ricerca e selezione di personale oltre 30 anni fa e per questo mi definisco un “artigiano della selezione”.

Posso dire di aver visto e contribuito a sviluppare tutti i più moderni strumenti utilizzati oggi nella selezione del personale ma non ho mai perso di vista le persone e mi piace trattarle “a mani nude”.

Con il gruppo “Profili & Carriere” siamo stati dei precursori ma benché sia dal 1991 che adottiamo i più sofisticati sistemi informatici per archiviare e gestire i dati, i nostri recruiter leggono, valutano e considerano tutte le candidature che quotidianamente riceviamo.

Incontro sempre più spesso persone demoralizzate delle aziende alle quali non importa nulla di loro perché cominciano a dimostrarlo già nei primi contatti, nella fasi della candidatura.

Mancanza di feedback, selezioni impersonali condotte da algoritmi, Via Crucis di 5,6,7 colloqui che non portano a nulla, stanno cominciando a fare danni irreversibili nel morale e nelle menti di chi è alla ricerca di un lavoro.

Sono convinto che il futuro sarà delle realtà minori, meno conosciute, aziende con budget ridotti per le assunzioni, piccole ma solide realtà che potranno superare agevolmente i colossi dei loro settori semplicemente attivando un dialogo più rispettoso ed orientato alle Persone anziché gestirlo come fosse una mercato del bestiame.

Vinceranno la battaglia per il talento le piccole imprese che spenderanno il loro tempo e la loro energia non solamente per raccontare quanto sono bravi e meglio degli altri, ma per dimostrare effettivamente di essere un posto migliore e più attento ai bisogni delle Persone, in cui è davvero figo lavorare.

La fuori c’é un esercito di talenti che non vede l’ora di stringere una relazione vera e sincera con belle aziende e di lavorare ogni giorno per fare la loro fortuna, ma alcune di loro sembrano davvero divertirsi a rendere la cosa difficile.

Settimana corta, ferie illimitate, wellbeing, benefit: cosa fa la differenza per una persona che deve scegliere se accettare una proposta di lavoro oppure no? 

Ognuno ha esigenze, aspettative e desideri che sono generati dalla vita che conduce e da quella che vorrebbe avere. Quello che è certo è che, come ho descritto chiaramente nel mio libro, esiste un altro tipo di contratto che lega l’azienda al dipendente e va oltre a quello puramente transazionale, si tratta del “contratto psicologico” utilizzato pochissimo e sconosciuto ai più.

Nascosti nei cuori delle persone ci sono sogni e speranze che le definiscono per quello che sono veramente.

Questo genere di aspettative non possono essere affrontate adeguatamente da fredde clausole contrattuali contenute in un contratto di lavoro, queste esigenze dovranno essere soddisfatte da un altro tipo di contratto, il contratto psicologico appunto, l’insieme non scritto, implicito, di aspettative e obblighi che definiscono i termini dello scambio in una relazione. 

Per affrontare correttamente l’approccio al contratto psicologico, la sfida che le aziende si troveranno ad affrontare consisterà nel gestire qualcosa che dipende da elementi impalpabili come sentimenti, percezioni, cultura, ricordi e altre dinamiche cognitive che per questo motivo non sempre possono essere facilmente definite o misurate.

Approcciare le assunzioni con contratti “standard” è cieco e poco profittevole, io consiglio sempre di arrivare all’offerta finale con una modalità di “ascolto” e presentare al candidato in giusto mix fra contratto transazione, contratto psicologico, welfare ed elementi strutturali.

Non mancano gli imprenditori che dicono che i giovani non vogliono lavorare, ma è davvero così?  

Chi pronuncia frasi del genere farebbe bene a cambiare mestiere, non perché non corrispondono in alcuni casi a verità, ma perché denota una scarsezza di intelligenza emotiva che non gli consente di lavorare con le persone.

Bisognerebbe vietargli di avere dei dipendenti esattamente come viene ritirata la patente se si guida in stato di ebrezza; mancano i requisiti!

Una risposta secca non è possibile perché le casistiche sono talmente tante che tirano in ballo situazioni diverse che in alcuni casi sono legate al ceto sociale, alla situazione economica sino alla residenza geografica.

In linea di massima i giovani avrebbero bisogno di più speranza nel futuro e maggiori stimoli per costruirselo, il RDC e quanto il Governo ha messo in campo sino ad oggi sembra andare nella direzione opposta.

Con la Compagnia del Buon Lavoro, il movimento Open Sources fra i primari gruppi Linkedin che ha superato i 60.000 iscritti, abbiamo un punto di vista privilegiato su quanto il mondo del lavoro offre ai jobseeker; la situazione non è rassicurante.

Da una parte abbiamo imprenditori che ambiscono ai loro 15 minuti di notorietà andando dai giornalisti a raccontare quanto sia difficile reperire nuovo personale ma poi scopriamo che si tratta la maggior parte delle volte di proposte di lavoro indecenti.

Il mondo del lavoro che vorrei e quello costituito invece da quelle che definisco le “Aziende del buon Lavoro”; realtà nelle quali le persone si sentano a loro agio e siano retribuite in maniera equa.

Aziende concrete che selezionano i loro dipendenti con rapidità e schiettezza, le assumono e fanno di tutto per tenersele ben strette.

Se poi un giorno i loro dipendenti dovessero andarsene comunque, gli saranno grati per quanto hanno fatto e li ringrazieranno, anziché  trattarli come dei traditori.

Aziende-famiglia, attente alle persone, green, sostenibili, magari pure B-Corp: tutto storytelling e si possono davvero realizzare un’idea di impresa olivettiana dove la crescita aziendale si accompagna alla crescita delle persone, del territorio e di riflesso della società tutta? 

Continuo a credere di sì. Lo faccio dal 1991.

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