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Il 95% degli italiani non si sente coinvolto sul lavoro: il disengagement costa all’Italia 273 miliardi

In base allo State of the Global Workplace2023 di Gallup, il 95% dei lavoratori italiani non è coinvolto nella propria attività. Con un livello di engagement del 5% il nostro Paese si posiziona all’ultimo posto in Europa.

Come ogni anno la società di consulenza statunitense Gallup ha pubblicato la sua indagine sull’engagement delle persone sul lavoro e ancora una volta l’Italia è il fanalino di coda in Europa: solo il 5% dei dipendenti si sente coinvolto nella propria attività. Un dato in crescita di un punto percentuale rispetto al 2022, quando era addirittura del 4%, ma pur sempre preoccupante.

Una percentuale che deve far pensare soprattutto se paragonata con il resto del mondo. L’engagement degli italiani (5%) resta infatti nettamente inferiore alla media europea (13%) e della media globale (23%). 

Conforta sapere che se si considera il grado di collera: “solo” l’11% dei lavoratori in Italia dichiara di provare rabbia, mentre la media europea è del 14%. Di contro, il livello di stress sul lavoro, pur in calo, resta preoccupante: il 46% dei dipendenti in Italia dichiara di sentirsi stressato, contro una media europea del 39%. 

A questo si aggiunge un certo pessimismo riguardo lo stato del mercato del lavoro in Italia, percepito come poco dinamico, tant’è vero che soltanto il 20% degli intervistati ritiene che quello attuale sia un periodo propizio per trovare un impiego, contro la media europea del 56%.

Cosa ci raccontano questi dati e come è possibile aumentare l’engagement degli italiani? Ne abbiamo parlato con Federico Orlandini, Senior Business Solutions Consultant di Gallup.

Federico Orlandini, Senior Business Solutions Consultant di Gallup

Cosa si può dedurre dal vostro report sulla situazione in Italia?

La pandemia ha influito molto sul grado di engagement delle persone. Quel che abbiamo notato è che sta crescendo il numero di lavoratori active disengaged, ovvero apertamente ostili al posto di lavoro e frustrati.

Se è vero che il 5% di engagement è un livello di coinvolgimento basso, l’allarme scatta se pensiamo che ben il 27% degli italiani rientra nella categoria degli active disengaged. Il che vuole dire che quasi un terzo dei dipendenti va al lavoro percependo i propri bisogni insoddisfatti, con il risultato di sentirsi frustrato e provare ostilità nei confronti dell’azienda per cui lavora. Questo è il punto veramente preoccupante.

Per capire quanto questa disaffezione pesi, in Gallup abbiamo elaborato misurato l’impatto economico del di uno scarso coinvolgimento sul lavoro, scoprendo così che all’economia italiana il disengagement costa 273 miliardi di euro all’anno, circa il 13% del PIL del Paese.

Cosa incide maggiormente sul disengagement delle persone?

Sull’engagement e quindi anche sul disengagement incide moltissimo la qualità del management. Su questo aspetto c’è una riflessione da fare proprio sul modello di impresa italiana. In Italia il tessuto imprenditoriale è in gran parte composto da piccole e microimprese.

Queste aziende, spesso familiari e create nel Dopo Guerra, hanno dimostrato di riuscire a restare competitive nel tempo, anche a livello internazionale, e dunque di avere un grande potenziale, ma negli ultimi anni, sono emersi anche i limiti di questo modello imprenditoriale, centrato sulla figura del fondatore dell’impresa, sulla sua visione delle cose e sul suo modo di gestirle.

Uno stile manageriale gerarchico e padronale, caratterizzato da un basso tasso di investimento nel capitale umano, con scarsa attenzione alla formazione e alla cultura manageriale, non è più adatto all’attuale mercato del lavoro.

In Europa la cultura manageriale è più diffusa e quindi si riescono a intercettare e soddisfare più facilmente i bisogni delle persone a tutto vantaggio del coinvolgimento?

Non esattamente. Da un punto di vista di engagement i dati sono migliori rispetto all’Italia. Il livello di coinvolgimento è del 13%, ma anche in questo la percentuale di active disengaged è alta. Non sorprende dunque se in questo periodo si senta sempre più spesso parlare di quiet quitting e quiet quitter, persone passive, che vanno al lavoro senza soddisfazione e facendo il minimo indispensabile.

Fortunatamente l’Europa è di gran lunga il posto dove da un punto di vista sociale si sta meglio, ed è una cosa molto positiva. Come spesso sottolineo, è più difficile creare una società in cui si sta bene piuttosto che a costruire un posto di lavoro fatto bene.

E questo discorso vale anche per l’Italia, in cui si registra un livello di stress alto ma il livello di rabbia è molto basso. Questo succede perché si vive bene, si sta bene a livello sociale.

Quali sono i Paesi dove invece i lavoratori si sentono più coinvolti?

Il livello di coinvolgomento è molto cresciuto ultimamente nei Paesi asiatici, ma storicamente sono gli USA ad avere l’engagement più alto.

Va detto però che proprio negli States si registrano i maggiori i livelli di stress, di rabbia e di sentimenti negativi. Quindi esiste una buona cultura manageriale e aziendale ma la qualità della vita è bassa.

Per aumentare l’engagement, le aziende devono quindi puntare sulla formazione dei propri manager?

Si. questo è un aspetto decisivo. In Gallup abbiamo analizzato i diversi fattori che influiscono sull’ingaggio ed è emerso che il manager, inteso come il referente diretto, il capufficio, il supervisor, pesa per oltre il 70% sull’andamento dei risultati di engagement.

A questo si aggiunge che i dati ci dicono anche che le figure in assoluto più in difficoltà dopo la pandemia sono i manager. In particolare, faticano ad adattarsi a un modo di lavoro ibrido. In America il 57% dei manager, quindi ben più della metà, non ha avuto alcun training su come gestire il proprio team e come lavorare in un ambiente ibrido.

Il fatto che l’engagement sia sceso drasticamente in quei lavoratori che dopo la pandemia sono stati richiamati in ufficio nonostante potessero svolgere il loro lavoro anche da remoto è un campanello di allarme che le aziende devono cogliere. I manager si trovano spesso a gestire questo di scontento senza avere gli strumenti per farlo.

Se questo vale per gli USA, possiamo pensare che valga, a maggior ragione, per l’Italia dove si registra un certo ritardo sull’investimento in formazione dei dipendenti.

La società e le aspettative dei ragazzi in Italia sono cambiate, il mercato del lavoro italiano dovrà necessariamente evolvere per restare competitivo, anche perché oggi i talenti possono rivolgersi a un mercato del lavoro europeo, se non addirittura globale.

Ci sono delle differenze nel livello di engagement a seconda del sesso e dell’età?

Se consideriamo l’età, la situazione sotto i quarant’anni è leggermente migliore rispetto a chi ha più di quarant’anni: sopra i 40 il livello di engagement è al 4%, sotto siamo al 7%. Per quel che riguarda gli active disengaged sopra i quarant’anni siamo a quota 26%, sotto al 18%.

Mentre se consideriamo il sesso, le donne hanno un indice di engagement leggermente più alto: il 5% contro il 4% degli uomini, mentre il livello di active disengagement nelle donne è al 21% e negli uomini al 26%.

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