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Creatività in azienda, Edoardo Binda Zane: “Va coltivata e allenata”

Cosa c’entrano creatività e improvvisazione con la vita di un’azienda? Molto. In un contesto in continua evoluzione, avere idee creative è il modo migliore per assicurarsi la possibilità di crescere e rispondere efficacemente e tempestivamente ai cambiamenti in corso.

L’importanza della creatività in azienda

Ci sarà un momento in cui avrai bisogno di una buona idea da portare avanti, e ne avrai bisogno in fretta. Che si tratti di una nuova caratteristica del prodotto o di una strategia completamente nuova, non importa: ad un certo punto ti troverai sotto pressione perché l’idea giusta dipende da te”, scrive il formatore Edoardo Binda Zane parlando di creative leadership.

Ma cos’è la creatività e come può diventare una preziosa risorsa in azienda? Ce lo spiega proprio Binda Zane, formatore esperto di processi creativi aziendali, in un’intervista da cui emergono tutte le potenzialità e i limiti del processo creativo applicato al business.

Tante volte mi sono sentita dire da persone che ho incontrato “io sono molto creativo” oppure “io non sono per nulla creativo”. Edoardo, creativi si nasce o si diventa?

La verità è che siamo tutti creativi. La creatività non è una competenza di pochi, è una modalità operativa che obbedisce a determinate dinamiche.

Tutto sta a capire e imparare quali sono queste dinamiche, poi sé importante saperle applicare e infine bisogna creare le condizioni per cui quelle dinamiche possano verificarsi.

In tutto questo, ci sono degli strumenti e dei metodi che aiutano le persone a sviluppare la creatività, fra tutti il design thinking, che forse è il più noto, ma ce ne sono anche altri validissimi.

La creatività è meravigliosa, ma ho notato che chi pensa “out of the box”, chi si pone dei dubbi, fa delle domande, spesso è anche percepita come “rompiscatole” all’interno di un’organizzazione. Come superare questa percezione?

Certo, può succedere e questa percezione ha molto a che vedere con la cultura aziendale.

Pensa che creatività e humor, inteso come la capacità di far ridere, obbediscono esattamente alle stesse dinamiche. E infatti, quante volte una persona dotata di humor viene considerata superficiale e poco seria in un’azienda formale? E succede anche che non venga ben vista perché in azienda si preferisce la formalità.

Bene, voglio essere chiaro su questo aspetto: la formalità non serve a niente in un processo creativo.

E allora come si gestisce la creatività in un’azienda che è anche fatta di processi rigidi e regole?

In realtà una cosa non esclude l’altra. A livello aziendale servono persone che riescano a seguire processi e regole, ma che poi quando c’è la necessità di cambiare riescano ad avere un’idea, a lavorare in modo diverso da quanto sempre fatto, a sviluppare soluzioni creative in modo efficiente.

Il problema spesso sono le organizzazioni in cui si lavora: è importante diffondere l’abitudine e la cultura della creatività, serve formare le persone e allenarle.

È importante spiegare e far vedere attraverso i risultati come funziona la creatività e perché funziona questo modo di lavorare.

Si tratta di un processo lento. Non si può pensare che questo tipo di cultura si diffonda nel giro di poco tempo.

Come si inserisce un approccio al lavoro creativo nel contesto italiano, fatto di piccole e micro imprese, dove spesso si adotta un modo di lavorare standardizzato dettato dal fondatore, magari non più giovanissimo? E, collegandomi a questo ultimo punto, pensi che il cambio generazionale possa favorire l’uso della creatività in azienda?

Non è tanto una questione generazionale. Se un ragazzo è appena arrivato in un’organizzazione e impara dal suo capo che ha imparato dal suo capo e via dicendo, il tutto si traduce nella trasmissione dello stesso modo di lavorare.

Basti pensare a cosa sta succedendo dal punto di vista tecnologico. Sono almeno 10 anni che parliamo del futuro del lavoro, che diciamo che quando l’intelligenza artificiale arriverà a un punto tale da sostituire l’essere umano allora il vantaggio competitivo si giocherà sulle competenze umane non replicabili.

Ora ci siamo e anche la piccola impresa, se non vuole chiudere, se vuole essere lungimirante, dovrà fare i conti con il fatto che, come emerso nel Future of Jobs Report 2023 del World Economic Forum, nella classifica delle competenze più richieste e necessarie nel ventunesimo secolo, fra le prime posizioni la creatività o, meglio, la capacità di essere creativi, che poi è anche la soft skill con un tasso di crescita fra i più alti in assoluto.

Arriviamo a un aspetto centrale: che cosa vuol dire essere creativi?

Partiamo dal fatto che la creatività è la capacità di collegare due sistemi di riferimento slegati per generare un significato nuovo.

Ecco, in relazione a questa definizione, essere creativi in azienda significa avere contezza della situazione che si sta affrontando e creare le condizioni affinché si abbia una confidenza tale da sentirsi liberi di sperimentare, di mettere insieme degli elementi per poi stare a vedere cosa succede.

Per farlo è necessario sapere che non c’è nulla di certo nel processo creativo e che il modo in cui le persone interagiscono fra loro, il fatto che si fidino l’una dell’altra, sono indispensabili a generare idee di alta qualità.

È bene essere consapevoli che c’è un legame fra la quantità di idee che riesco a elencare su un dato tema e la qualità creativa delle stesse.

Mi spiego meglio: su dieci idee, le prime che mi vengono in mente sono quelle più banali, le successive vengono quando si inizia a scavare un po’ di più, solo allora escono delle idee davvero estrose.

Un clima di fiducia, dove non si teme di fare una figuraccia, è fondamentale per produrre idee davvero brillanti.

Per creare queste condizioni bisogna fare in modo che le persone sappiano come funzioni il processo creativo, che si fidino, che sappiano lavorare bene insieme e ridere insieme, che il capo non metta pressione.

Una pressione inutile, fra l’altro, perché una certezza sul risultato non esiste e non deve neanche esistere.

Quindi per allenare o per fare in modo che le persone possano avere idee a comando in azienda bisogna formare i capi e il team a riguardo, costruire una cultura dentro cui le persone possano fidarsi, ridere e scherzare senza limiti, sapendo che quello è un ambiente sicuro.

Questo, secondo me, è il passaggio più difficile.

Ho detto che è stata codificata la creatività, ma non ho mai detto che fosse facile alimentarla.

Vorrei riprendere il concetto di clima aziendale. Se in un gruppo di lavoro ci sono manager che tendono a ricalcare strade già percorse e/o yes men che fanno il possibile per compiacere a manager tradizionalisti, il processo creativo è ancora possibile?

Se nel gruppo c’è una mentalità ostacolante e persone che sono preoccupate solo di farsi belle agli occhi del capo iniziano i problemi.

Basta una sola persona di questo tipo per far sentire a tutti i membri del gruppo una pressione sociale che ostacolerà la libertà di esprimersi, di mettere sul tavolo delle idee.

Uno studio dell’Università di Kent ha determinato che le pressioni sociali sono proprie quelle che riescono a invalidare l’efficacia di un brainstorming in tutto per tutto.

Basta una persona di questo tipo per far sì che le persone nel gruppo attueranno un processo di autocensura, arrivando al massimo a elencare delle idee “sicure”, nel senso di accettabili e non troppo estrose.

E invece che genere di persone accendono il processo creativo?

Chi ha fatto improvvisazione teatrale!

Studi e analisi hanno determinato che chi si forma nell’ambito dell’improvvisazione teatrale, che vuol dire salire su un palco e trovare sul momento un’idea per far ridere il pubblico, appartiene alla categoria di persone che in assoluto stimolano di più tutte le altre dal punto di vista della creatività.

È stato misurato in uno studio del MIT che gli improvvisatori teatrali hanno circa il 20% in più di idee rispetto alla media e circa il 25% di qualità creativa in più rispetto a un product designer.

Queste performance sono legate al fatto che usano un modo di lavorare che un’azienda ha difficoltà a replicare e che è difficile da far attecchire perché apparentemente sembra un approccio troppo caotico, quasi “caciarone”, impossibile da accettare all’interno di un’organizzazione formale.

Ogni azienda dovrebbe avere al proprio interno degli improvvisatori o stimolare le proprie persone a esserlo.

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