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Whistleblowing, Robledo: “Recepire subito la normativa europea per tutelare chi denuncia”

Le aziende italiane si stanno organizzando per incentivare il whistleblowing, ovvero la denuncia di atti illeciti in azienda. Sarà decisivo recepire la Direttiva UE in merito al fine di assicurare una piena tutela di chi fa le segnalazioni. A che punto siamo in Italia e cosa si può fare per proteggere i whistleblower? Ne abbiamo parlato con Priscilla Robledo, Business integrity consultant.

Whistleblowing, il 13% dei casi segnalati nel 2021 era di potenziale corruzione

Sono stati pubblicati recentemente i dati dell’indagine condotta da EQS Group Italia sulla gestione del whistleblowing nelle imprese italiane.  La ricerca, condotta su 162 aziende di ogni dimensione (da meno di 50 a oltre 10 mila dipendenti) che operano in uno svariato numero di settori, ha messo in evidenza che:

quattro aziende italiane su cinque (78%) hanno implementato un sistema di segnalazione interno;
– le segnalazioni sono state 142 all’anno, con una media di 2 segnalazioni a settimana;
– il 13% dei casi segnalati nel 2021 era di potenziale corruzione;
– il 17% delle imprese utilizza solo una semplice email per raccogliere le segnalazioni.

Abbiamo voluto approfondire la questione con Priscilla Robledo, Business integrity consultant e Campaigner dell’organizzazione no profit The Good Lobby, che ha partecipato al report di EQS come consulente scientifico.

Dott.ssa Robledo, il tema del whistleblowing è delicatissimo. Da un lato c’è la necessità di incentivare la denuncia di illeciti, dall’altro è fondamentale garantire l’anonimato a chi denuncia. A che punto siamo in Italia?

Lei sottolinea un paradosso che è centrale nel fenomeno del whistleblowing, ma che vale la pena allargare ancora di più dal punto di vista concettuale: è necessario incentivare i lavoratori (del settore pubblico, ma anche del settore privato) a segnalare, ma contemporaneamente questi lavoratori devono essere messi nelle condizioni di poterlo fare con serenità e fiducia nel sistema.

Fra il 2012 e il 2017, i dipendenti pubblici si trovavano in una situazione molto difficile: avevano l’obbligo di segnalare potenziali illeciti di cui erano stati testimoni, ma non potevano contare sulle tutele antidiscriminatorie che la legge 179 ha introdotto e che sono entrate in vigore a gennaio 2018.

Questa legge non obbliga gli enti ad accettare segnalazioni anonime (li obbliga però a garantire e mantenere la riservatezza circa l’identità del segnalante) e nemmeno la direttiva europea impone agli Stati Membri l’obbligatorietà dell’anonimato. Ciò nonostante, molti enti pubblici e aziende private accettano già le segnalazioni anonime, perché sanno che la garanzia dell’anonimato è un incentivo non indifferente per i e le whistleblowers. I risultati della ricerca che ho condotto con EQS Italia vanno a conferma di ciò: oltre l’80% delle aziende italiane accettano segnalazioni anonime e, quando le accettano, oltre la metà delle segnalazioni che ricevono sono, appunto, anonime.

Volendo fare un parallelo con l’estero, quali sono i Paesi che sul tema hanno dimostrato di essere più pronti e ricettivi?

Sicuramente gli Stati Uniti sono apripista: le prime leggi a tutela dei whistleblowers negli USA risalgono ai tempi della prima guerra mondiale e sono state introdotte per incentivare le segnalazioni di appropriazioni indebite  e così permettere un controllo sull’utilizzo dei fondi pubblici nel settore della difesa (come noto, gli USA hanno un esercito composto di contractors e hanno combattuto lontano dal loro territorio: di qui la necessità di presidiare e controllare). Oggi, gli USA sono fra i tre paesi al mondo (insieme alla Corea del Sud e, più recentemente, alla Lituania) a prevedere una ricompensa finanziaria per il/la whistleblower in alcuni casi specifici.

Vale la pena anche menzionare che i Paesi Bassi hanno introdotto obblighi di predisporre canali di segnalazione per aziende con minimo 50 dipendenti già nel 2016, quindi 5 anni prima della direttiva europea, così come ha fatto la Francia con la Sapin II sempre nel 2016. La Francia ha inoltre recepito la direttiva europea, a marzo 2022, con una buona legge che prevede sanzioni fino a €60,000 per liti temerarie (cioè un abuso di procedimenti giudiziari) contro i whistleblowers.

Gran parte delle aziende italiane usano come canale per effettuare le denunce le mail. È un sistema ottimale e sicuro?

Purtroppo non lo è affatto. Il canale email non garantisce la riservatezza dei dati e delle informazioni contenuti nelle segnalazioni, a partire proprio dalla riservatezza dell’identità del segnalante che come ho detto prima è un obbligo di legge. Hackerare una email è molto più semplice che hackerare un software criptato e sviluppato apposta con sistemi avanzati di sicurezza, ma è il tema della sicurezza digitale in generale ad essere ancora poco maturo nel nostro paese. Inoltre, il sistema email non è ottimale perché non è efficiente: non permette una gestione strutturata delle segnalazioni e delle istruttorie conseguenti, non permette di monitorare automaticamente i tempi, non permette di filtrare automaticamente le segnalazioni al fine di farle arrivare alla scrivania giusta per materia.

In Italia si denuncia o regna il timore a esporsi? E anche in questo caso, all’estero si denuncia di più/meno?

Purtroppo i dati a disposizione sulla quantità e qualità delle segnalazioni sono scarsi e non permettono di effettuare comparazioni attendibili. In questo senso l’indagine EQS rappresenta uno strumento inedito di grande utilità, e vorrei che ce ne fossero di più. Sembra visionario, ma sarebbe a mio avviso una modalità egregia di promuovere la responsabilità sociale e l’integrità degli enti pubblici o privati, quella di prevedere degli obblighi di trasparenza e rendicontazione sulle segnalazioni ricevute nell’anno precedente. Nell’Unione europea le aziende di grandi dimensioni già pubblicano una rendicontazione non finanziaria allegata al bilancio, che descrive gli impatti su ambiente, dipendenti, catena di approvvigionamento e lotta alla corruzione. Un Whistleblowing Data Report potrebbe essere parte di quest’ultimo capitolo.

Le denunce sfociano poi in provvedimenti disciplinari?

Non tutte le denunce conducono all’apertura di una istruttoria o indagine interna, e ancora meno è il numero delle istruttorie che conducono all’applicazione di sanzioni disciplinari. Ciò non è necessariamente un male: il sistema deve funzionare come segnalazione di un allarme, se poi questo allarme è infondato, tanto meglio. L’importante è non abusarne.

Anche in questo caso l’indagine di EQS viene in aiuto: le aziende con più di 10.000 dipendenti dichiarano che il 65% delle segnalazioni ricevute nel 2021 ha condotto all’apertura di un’indagine interna e il 20% di queste ha portato all’applicazione di sanzioni. Le aziende con un numero di dipendenti compreso tra i 5 e 10 mila, nel 2021 sono state irrogate sanzioni nel 18% dei casi.

Nel settore pubblico ci sono meno dati a riguardo. Nella relazione annuale sul 2021 che Anac ha presentato al Parlamento a giugno 2022 sono citati due casi di sanzioni emesse nei confronti degli autori, accertati, di comportamenti ritorsivi per la somma di €5mila ciascuna.

Cosa secondo lei potrebbe agevolare il recepimento e l’applicazione della normativa UE sul whistleblowing in Italia?

Il dispositivo legislativo è pronto da tempo: manca la volontà politica. Quantomeno registriamo un disinteresse della politica verso il recepimento di questa importante disciplina, e questo è preoccupante.

Ha dei consigli per le aziende che vogliono adottare adeguati sistemi di denuncia/anticorruzione?

Sono diverse le considerazioni strategiche e pratiche da condividere, e innumerevoli le iniziative interne possibili, al di là del dettato normativo, per promuovere il whistleblowing in azienda. Se dovessi comporre una mini-strategia che vale anche per le PMI, percorrerei 5 direttrici:

  • scegliere una piattaforma software per la ricezione delle segnalazioni che dia garanzie di affidabilità,
  • affidare la ricezione delle segnalazioni ad un nucleo interno all’ente composto da diverse professionalità,
  • mettere a terra un piano di formazione innovativo e ingaggiante tanto per i dipendenti quanto per chi riceve le segnalazioni,
  • creare e condurre una vera e propria campagna di comunicazione interna per diffondere lo strumento,
  • agire con trasparenza, responsabilità e coerenza con quanto dichiarato.

E, infine, come suggerisce di procedere a un dipendente che vuole fare una denuncia ma teme di non essere adeguatamente tutelato?

Se questa persona lavora nel settore pubblico, può rivolgersi direttamente ad Anac. Se invece lavora nel settore privato, potrebbe comunque rivolgersi agli inquirenti in forma anonima, ma al momento c’è un vuoto di tutela che il recepimento della direttiva dovrebbe colmare aprendo alla possibilità di effettuare segnalazioni esterne (agli organi competenti) o pubbliche (ad organi di stampa) godendo delle tutele previste dalla legge. In generale io sono molto poco ideologica: è giusto segnalare, ma solo se ci sono le condizioni. Sì all’integrità, ma no al martirio.

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