ANRA lancia l’allarme: aziende italiane ancora poco consapevoli dei rischi di viaggio e spesso prive di strumenti che possano tutelare sia il dipendente all’estero, sia il datore di lavoro in patria, specialmente dal punto di vista giuridico
La pandemia da coronavirus ha portato alla luce nuove problematiche, aperto inediti scenari nel mondo del lavoro e sottolineato carenze e punti deboli all’interno delle imprese. Tra le tante questioni messe in evidenza negli ultimi tempi c’è sicuramente quello del travel risk, una tematica ancora poco considerata dalle aziende. L’emergenza sanitaria e il dibattito in corso sull’adozione del passaporto vaccinale hanno, infatti, mostrato una situazione critica esistente da tempo: le aziende sono ancora troppo poco consapevoli dei potenziali impatti dei rischi di viaggio e, di conseguenza, si trovano impreparate di fronte a essi, prive di strumenti che possano tutelare sia il dipendente all’estero, sia il datore di lavoro in patria, specialmente dal punto di vista giuridico.
A lanciare l’allarme ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali, che sottolinea come la consapevolezza delle aziende italiane in termini di gestione dei rischi di viaggio non sia ancora al livello che ci si aspetterebbe da un Paese così fortemente votato all’export. Uno degli errori più diffusi è quello di focalizzarsi solamente sulla stabilità geopolitica di un Paese nel mappare i rischi legati a uno spostamento, tralasciando aspetti che possono incidere parimenti in termini di sicurezza personale. Il rischio di viaggio non è, infatti, legato solamente al rischio terrorismo o all’instabilità politica di un Paese, ma anche a tutti gli aspetti che ne regolano e influenzano la vita, e che possono essere di natura normativa, religiosa, culturale.
“Attualmente, le imprese hanno l’obbligo di tutelare i propri dipendenti mentre sono all’estero, tuttavia ciò che manca davvero sono delle linee guida specifiche. Il datore di lavoro, responsabile penalmente in caso di incidenti, non ha indicazioni certe su come mitigare ed evitare problematiche o potenziali situazioni di rischio in primis per il dipendente oltre confine, ma anche per l’azienda ed il suo management. Allo stesso tempo, la mancanza di una regolamentazione specifica rappresenta un problema anche per la magistratura, chiamata ad esprimere il proprio giudizio in caso di incidenti”, ha dichiarato Mark Lowe, Socio ANRA e Risk Analyst, sottolineando come a presentare le lacune maggiori siano sicuramente le PMI. Le motivazioni vanno ricercate, nella maggior parte dei casi, nella mancata formazione specifica sul travel risk, e nei budget a esso destinati insufficienti o nulli. Mancano inoltre figure come quella del Security Officer, specializzato in questa tipologia di problematiche: inevitabilmente, questo espone le aziende a rischi che, ad esempio, compagnie più strutturate non presentano, ha spiegato Mark Lowe.
In assenza, dunque, di linee guida prestabilite, come può un’azienda accertarsi di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare i propri dipendenti? Da questo cruciale interrogativo, spiega ANRA, ha preso avvio un tavolo di lavoro internazionale per la definizione di uno standard internazionale univoco sui rischi di viaggio, l’ISO31030 (Travel Risk Management), che vede un totale di 165 Paesi coinvolti, tra i quali l’Italia. In attesa di questo strumento, per far fronte alla situazione contingente ANRA suggerisce di affidarsi il più possibile a una corretta e puntuale mappatura dei rischi, e per quanto riguarda il caso più attuale, ovvero la pandemia, affidarsi agli strumenti che la scienza mette a disposizione, dai tamponi rapidi al passaporto vaccinale, quando e dove sarà disponibile.
“L’Italia è molto ben rappresentata in questo progetto, e questo ci rende molto orgogliosi poiché mostra la forte volontà del Paese di colmare quelle lacune che per lungo tempo l’hanno caratterizzato. ANRA è coinvolta in prima persona nel gruppo di lavoro principale, composto da un totale di 12 persone di cui 3 italiane. Stiamo dando un forte impulso a questo standard, per cercare di creare linee guida chiare affinché le aziende possano sviluppare procedure interne per gestire i rischi di viaggio, che tengano conto anche del quadro legislativo di un Paese come il nostro, per poter essere applicate agevolmente dalle nostre imprese”, ha proseguito Lowe.
“In quest’ultimo anno dominato dalla diffusione del Covid-19, di fronte al rischio di contagio le aziende si sono fortemente impegnate nel ricercare ed implementare protocolli di sicurezza, attraverso il sistema dei tamponi, dei test sierologici e delle quarantene, tuttavia una fascia di rischio è sempre rimasta. Tra i settori più esposti, troviamo ad esempio quello logistico, che non ha mai bloccato gli spostamenti per poter garantire gli approvvigionamenti: è accaduto che si siano verificati dei focolai negli hub, nonostante i rigidi protocolli applicati. – Ha commentato Alessandro De Felice, presidente di ANRA. – La criticità rimane in ogni caso quella della disponibilità delle dosi di vaccino. Molte aziende sono in grado fin da ora di organizzare in maniera rapida ed efficiente l’inoculazione ai propri dipendenti su base volontaria, sia come forma di duty of care sia nel reciproco interesse di sicurezza, per tornare nel modo più rapido possibile a quella socialità del lavoro che manca ormai da troppo tempo”.
