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Salario minimo? Ecco perché sono contrario

Se ne sta discutendo ovunque. In Tv, sul web. Alcuni lo sostengono, altri lo respingono. L’introduzione di un salario minimo di retribuzione unisce e divide. Io sono contrario e in questo articolo vi spiego il perché.

C’è chi è favorevole e chi non lo è.

Paesi che l’hanno adottato da tempo e Paesi, come il nostro, che non hanno nessuna regolamentazione in materia. È il salario minimo, uno strumento che introduce una soglia minima di retribuzione, fortemente invocato dalla sinistra e declassato dal Governo. La questione è salita alla ribalta nelle ultime settimane, quando l’opposizione (ad eccezione di Italia Viva) ha presentato in Italia una proposta di legge per la sua introduzione in Italia.

Si tratterebbe di portare il tetto minimo retributivo a 9 euro lordi all’ora con l’obiettivo di tutelare le fasce di lavoratori più poveri e senza un contratto collettivo. Secondo dati INPS, sono circa 4,6 milioni i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di questa cifra. L’introduzione del salario minimo aiuterebbe soprattutto le donne e le categorie di lavoratori più deboli.

La proposta di legge arriva in un momento in cui la morsa inflazionistica sta spremendo le risorse finanziarie e i risparmi di famiglie e imprese italiane. Come non bastasse, poi, ci si è messa anche la Bce, che ha annunciato un nuovo rialzo dei tassi d’interesse a luglio.

Risultato? Il costo della vita aumenta, mentre gli stipendi “rimangono tali e quali”.

In un momento come questo è facile (e assolutamente comprensibile) lasciarsi trasportare dall’indignazione. Ci sono dipendenti in Italia che lavorano onestamente, anche molte ore al giorno e guadagnado poco. Tuttavia, è necessario fare dei ragionamenti. Gli stessi che mi portano a dire che, forse, il salario minimo non è la misura idonea in questo momento e per il nostro Paese.

È vero, ci sono dei contratti nazionali che prevedono importi molto bassi. Un esempio, con il quale ho avuto a che fare nel corso della mia esperienza professionale, è il settore della sicurezza sussidiaria e dei servizi fiduciari. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori di questo comparto percepiscono una paga piuttosto bassa se rapportata al numero di ore di lavoro effettuate e ai rischi che lo stesso comporta. Tuttavia, è proprio su quei contratti che si deve lavorare.

In un momento di stagnazione economica, come quello che stiamo attraversando, l’aumento del salario minimo causerebbe un inevitabile aumento dei costi per le imprese, che di conseguenza si riverserebbero sui prezzi dei prodotti offerti dalle stesse. Un cane che si morde la coda. E il problema dell’inflazione persisterebbe, se non addirittura peggiorerebbe. Dall’altra parte, il salario minimo potrebbe portare molte aziende, incapaci di sostenere l’aumento del costo del lavoro, a chiudere battenti o a ridurre il personale. Quindi, a questo punto, meglio un lavoro con uno stipendio basso o rimanere senza lavoro?

La strada che sento più opportuna da perseguire è quella di potenziare il sistema della contrattazione collettiva e lavorare sulla detassazione degli incrementi retributivi. Come sostiene il Governo Meloni è preferibile “favorire una contrattazione collettiva sempre più virtuosa, investire sul welfare aziendale, agire su agevolazioni fiscali e contributive, stimolare i rinnovi contrattuali”.

Il salario minimo rischia di essere soltanto “uno specchietto per le allodole”.

Come lo è stato, in passato, il reddito di cittadinanza.

P.S. E ce ne siamo accorti tutti.

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