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Al 79esimo posto per gender gap con 56 femminicidi da inizio 2023, l’Italia non è (ancora) un Paese per donne

Le donne sono state le più penalizzate dalla pandemia. Tra precarietà, compensi più bassi dei colleghi maschi, violenze domestiche e lavori di cura sulle spalle, la questione femminile non è mai stata così attuale. L’apertura dello Spazio Libellula in via Filippo Tommaso Marinetti 2 a Milano rappresenta un punto di partenza per creare luoghi a cui le donne (e non solo) possano trovare aiuto.

Gender gap e femminicidi, i dati allarmanti

Partiamo da due dati: 1) sono 56 i femminicidi registrati da inizio 2023 in Italia; 2) il nostro Paese passa dal 63esimo al 79esimo posto nella classifica sul gender gap su un totale di 146 nazioni.

Basterebbero questo per raccontare che l’Italia non è (ancora) un Paese per donne. Dietro a quei numeri ci sono storie di donne che lottano per un lavoro stabile, per un compenso equo, per avere delle opportunità, per avere aiuto. E poi ci sono quelle donne che non possono più lottare perché è stata tolta loro la vita.

Ma andiamo oltre e consideriamo altri dati. A fine 2022, secondo il rapporto Consob sulla Corporate Governance, per effetto dell’applicazione delle norme che riservano una quota dell’organo sociale al genere meno rappresentato, la presenza femminile ha raggiunto il 43% degli incarichi di amministrazione e il 41% di quelli di componente dell’organo di controllo.

Percentuali che scendono drasticamente nei ruoli di vertice: il 2% dei Ceo delle società quotate è donna e il 4% presidente. Insomma, il soffitto di cristallo c’è e gode di ottima salute.

Ancora, l’occupazione femminile è attorno al 51%, un dato che pone l’Italia in coda agli altri Paesi europei.

Più sicurezza e più lavoro (equo)

Le donne si sentono in pericolo e vogliono più sicurezza? Certamente sì, ma vogliono anche più lavoro e vogliono essere pagate il giusto. Non scordiamoci mai che l’indipendenza economica è alla base della possibilità di affermazione sociale ed è una condizione imprescindibile per lasciare il proprio aguzzino (che molto spesso occupa la stessa casa e lo stesso letto).

E vogliono andare al lavoro senza doversi proteggere dalle avances del collega o da battutine e sorrisetti che di professionale non hanno proprio nulla.

Cosa sta facendo Milano per le donne?

Milano ha un ruolo importante nel Paese. È spesso apripista per iniziative che vengono poi adottate anche altrove. È una città che può fare la differenza. Ci riesce nella moda, ci riesce nel design, ci riesce nell’imprenditorialità. Deve riuscirci anche sulla questione femminile. E i casi di molestie in alcune agenzie di comunicazione emersi recentemente certo non vanno in quella direzione.

Oltre a questa vicenda, su cui si spera non cali un velo di silenzio dopo la bufera delle scorse settimane, tiene banco a Milano la discussione sulla sicurezza. Una discussione troppo spesso politicizzata e che ridotta a mere accuse fra fazioni politiche diverse non serve a nessuno. Soprattutto non serve alle donne.

Ma cosa sta facendo Milano per le donne? L’inaugurazione dello Spazio Libellula, il primo progetto di cura radicato nel territorio volto a prevenire e contrastare la violenza di genere attraverso percorsi formativi, è stata l’occasione per parlarne con Gaia Romani, Assessora ai Servizi civici, Decentramento e Partecipazione del Comune di Milano, e Diana De Marchi, Consigliera comunale e Presidente Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano con delega a Lavoro e Politiche Sociali per Città Metropolitana Milano.

Inaugurazione dello Spazio Libellula a Milano

Romani: “Intercettiamo situazioni a rischio sul territorio anche attraverso le anagrafi”

“Il Comune di Milano – spiega l’Assessora Gaia Romanista cercando di avere un approccio di genere trasversale a tutti gli assessorati. Per esempio, fra le mie deleghe ci sono i Servizi civici ed è proprio in quei luoghi che stiamo cercando di far arrivare informazioni, di sensibilizzare e di andare a intercettare situazioni a rischio. Allo scopo il Comune di Milano ha già iniziato a collaborare con la rete antiviolenza facendo venire delle operatrici anche all’interno delle anagrafi e organizzando incontri di sensibilizzazione.

Stiamo facendo inoltre un lavoro importante con i Centri Milano Donna, che sono dei luoghi in cui accogliere, ascoltare, fare formazione lavorativa, organizzare il doposcuola dei figli di persone straniere che possono avere difficoltà con la lingua“, prosegue. “Ma tutti gli assessorati sono impegnati in questo senso. L’Assessora allo Sviluppo Economico e Politiche del Lavoro, Alessia Cappello, per esempio, ha lanciato un progetto di mentorship. Io stessa sto lavorando con due ragazze di cui sono mentor per aiutarle a identificare il percorso più adatto a loro ma anche per farle sentire comprese e scambiarci delle buone pratiche.

E sulla questione sicurezza a Milano cosa pensa l’Assessora Romani? “Oggi si fa molta propaganda sull’insicurezza delle donne nello spazio pubblico, ma sappiamo che il problema della sicurezza delle donne è ben più ampio. L’insicurezza è spesso in casa e soprattutto da parte dei familiari, di chi ci conosce, si trova nei luoghi di lavoro sottoforma di mobbing, molestie, giudizi sull’aspetto fisico e episodi machisti, che fanno parte della nostra quotidianità. Non dobbiamo far sì che episodi che possono essere strumentalizzati facciano pensare alle donne che lo spazio pubblico non è per loro perché questo rischia di riportarci indietro i settant’anni”.

Gaia Romani

Il Comune di Milano ha introdotto nel 2019 delle linee guida per l’adozione della parità di genere nei testi amministrativi e nella comunicazione istituzionale. La declinazione al femminile e l’uso di linguaggio inclusivo però continuano a far discutere e a divere (anche le donne) in pro e contro.

L’Assessora Romani, appena nominata dal sindaco di Milano, Beppe Sala, ha tenuto a rimarcare la declinazione al femminile del suo ruolo. Il perché è lei stessa a raccontarlo: “Il linguaggio definisce il nostro pensiero e quindi definisce poi anche il modo in cui noi ci rapportiamo con la società. C’è molta retorica sul fatto che non sia una priorità. Per me è sempre stato molto importante perché quel senso di scomodità che noi proviamo quando usiamo un termine come medica o magistrata, il fatto che in qualche modo ci suoni strano non ci deve portare a non utilizzarlo ma deve farci riconoscere e renderci consapevoli che quella stranezza è data dal fatto che quei ruoli per troppo tempo non sono stati occupati da donne e quindi prendere quell’apparente disagio per dire e avere consapevolezza del fatto che il cambiamento ci costringe a uscire dalla nostra zona di comfort.

Spero che sempre più donne non si vergognino di farsi chiamare direttrici, avvocata o la Presidente del Consiglio”, chiosa Romani.

De Marchi: “Il precariato delle donne è un vero dramma”

Milano è una delle città più attive e capaci di essere ugualitarie e paritarie nelle attività e nelle offerte di lavoro, dopodiché è proprio il mondo del lavoro che è cambiato. Quel gender gap ancora non è superato, anche nel nostro territorio, ma soprattutto le donne hanno un lavoro precario, è questo il vero dramma. e quindi faticano a costruire un vero percorso che possa portare a un futuro che permetta loro di essere libere di scegliere. Questa è la difficoltà che vediamo”, spiega Diana De Marchi.

“Sono state le più penalizzate dalla pandemia e dal post pandemia. Dall’Osservatorio di Città Metropolitana sul mercato del lavoro – prosegue – emerge che prima del 2019 la forbice occupazionale fra uomini e donni si era avvicinata, invece, dopo la pandemia si è allargata del 50%. Perché? Un po’ perché le donne hanno fatto scelte di vita diverse. Quel peso della cura che è ricaduto prevalentemente sulle loro spalle, ha fatto dare loro un valore differente anche a quello che è il tempo di vita tra lavoro e vita affettiva. La maggior parte però ha una difficoltà nel trovare lavoro a tempo indeterminato. Le assunzioni sono ripartite nel mondo del lavoro, ma soprattutto nel settore dell’edilizia, grazie ai bonus elargiti, un comparto, questo, prettamente maschile da cui le donne sono tagliate fuori.

Diana De Marchi

Cosa sta facendo Milano per favorire l’occupazione femminile? “Abbiamo attivato diverse iniziative. Abbiamo, per esempio, intercettato 5000 donne, tra i 30 e i 45 anni, che hanno perso il lavoro. Le abbiamo contattate per capire quali sono le loro competenze e come reinserirle in un mondo del lavoro e per tutte le altre donne siamo sempre a disposizione collocandoci in luoghi diversi. Siamo noi che dobbiamo andare da loro e presidiare il territorio a fornire supporto”, conclude De Marchi.

Spazio Libellula, un luogo per fare cultura contro gli stereotipi di genere

L’apertura dello Spazio Libellula, in via Filippo Tommaso Marinetti 2 a Milano, va proprio nel senso di creare dei presidi su strada in grado di aiutare le donne vittime di violenza e discriminazioni.

Fondazione Libellula è una realtà di Zeta Service, nata per combattere la violenza di genere attraverso i luoghi dove si passa la maggior parte della giornata: i posti di lavoro.

Ed è proprio lì che si sprecano episodi di violenza e discriminazione. Basti pensare alla survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione), realizzata proprio da Fondazione Libellula, in cui è emerso che 1 donna su 2 è stata vittima di molestie o discriminazioni sul posto di lavoro, il 22% ha avuto contatti fisici indesiderati e il 53% ha ricevuto complimenti espliciti non desiderati, perlopiù da parte di capi e colleghi.

“Con questo spazio abbiamo deciso di creare un’antenna sul territorio per intercettare anche chi è tenuto fuori dal mondo del lavoro, oltre che quelle situazioni in cui la violenza di genere non è evidente”, dichiara Debora Moretti, Fondatrice e Presidente della Fondazione.

“È importantissimo in questo momento – prosegue – essere vicini alle donne, ma anche essere vicini agli uomini e cercare di responsabilizzarli perché anche grazie a loro riusciremo a uscire da questa situazione. In Fondazione Libellula crediamo che sia la cultura a poter fare la differenza. Per questo lavoriamo sulla cultura all’interno delle aziende, proponiamo percorsi di empowerment di donne e uomini, oltre a laboratori per bambini”.

Questo spazio nasce proprio per intercettare condizioni di vulnerabilità e violenza prima della loro escalation. Il cuore di questo spazio sarà uno sportello di ascolto sportello di ascolto gratuito, anonimo e senza obbligo di denuncia per chi vorrà raccontare episodi di violenza, capire come gestire e riconoscere cos’è una molestia, capire cosa vuole dire violenza. È uno spazio aperto a tutti con una piccola biblioteca, rivolta a tutte le fasce di età, con libri liberi da stereotipi”, conclude Moretti.

Debora Moretti

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