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Rapporto Inapp 2023: stipendi italiani fermi a 30 anni fa

Dopo la pandemia il mercato del lavoro in Italia ha manifestato diversi problemi: dalla carenza di lavoratori all’incremento del numero delle dimissioni. Inoltre, gli stipendi italiani sono rimasti fermi da 30 anni, a differenza di quanto avvenuto invece negli altri paesi sviluppati.

Stipendi in Italia: +1% in 30 anni contro +32,5% dei paesi Ocse

Dopo il periodo pandemico, il mercato del lavoro in Italia ha ripreso a crescere. Al tempo stesso, però, non crescono i salari dei lavoratori, fermi a quelli di 30 anni fa. È quanto emerso dal Rapporto Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) 2023, che ha indagato sulle condizioni salariali e sul mercato del lavoro nel nostro Paese.

Stando ai risultati del report, il dato più allarmante è senza dubbio quello che riguarda la stagnazione salariale. Tra il 1991 e il 2022 gli stipendi dei lavoratori italiani non hanno subito variazioni significative, con una crescita minima dell’1%. Parallelamente, negli altri paesi OCSE, i salari sono aumentati in media del 32,5%. Un divario spaventoso.

Secondo il Rapporto Inapp 2023, “l’arretramento dei salari italiani rispetto agli altri Paesi sviluppati è chiaro anche nel ranking internazionale dell’area OCSE. Negli ultimi 30 anni, l’Italia ha perso 13 posizioni. Nel 1992 occupava, infatti, il 9° posto nel ranking, posizione migliore rispetto alla media dei salari in area OCSE. Nel 2002 il Belpaese è arretrato in 14° posizione, ben al di sotto della media OCSE, e non ha più recuperato nel corso degli anni la precedente posizione di vantaggio. La distanza dalla media OCSE è andata sempre più a deteriorarsi, occupando nel 2012 la 20° posizione e nel 2022 la 22° posizione.”

A mettere a dura prova l’aumento delle retribuzioni ci si è messo anche la crescita dell’inflazione, dovuta all’incremento dei costi delle fonti energetiche e delle materie prime.

Assunzioni in calo e dimissioni in aumento

Oltre al congelamento degli stipendi, il mercato del lavoro nel nostro Paese è costretto ad affrontare la carenza di assunzioni e l’aumento delle dimissioni avvenute negli ultimi anni.

Nel 2021 il numero di nuove assunzioni era pari a 713 mila unità. Nel 2022, questo dato è sceso a 414 mila unità, caratterizzate da una forte disparità tra uomini e donne (54% contro 46%). Le dimissioni nel 2022 hanno coinvolto, invece, 3,3 milioni di persone (il 14,6% del totale degli occupati). Inoltre, nonostante le assunzioni giovanili aumentino, la maggior parte dei lavoratori è anziana. Per 1.000 lavoratori di età compresa tra i 19 e i 39 anni, ci sono ben 1.900 lavoratori adulti. L’invecchiamento della popolazione si riflette, dunque, anche sulla forza lavoro.

Il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, sostiene che questo modello di mercato non possa reggere a lungo termine. A questo proposito, afferma che sarebbe utile sfruttare un modello più solido, come il wage-led (basato sui salari), e introdurre il salario minimo, dato che il sistema delle contrattazioni collettive si sarebbe dimostrato inefficace. Infatti, quest’ultimo non sarebbe stato capace di garantire, tra il 1991 e il 2022, quella crescita dei salari reali che nella media dei paesi OCSE ha raggiunto risultati ben più convincenti dei nostri.

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