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Cervellin (Office of Cards): “La prima regola del business? Prendersi cura delle relazioni”

“La vita ha più senso se ne dedichi una parte ad aiutare gli altri”, si presenta così Davide Cervellin sul sito di Office of Cards. “Sapere che quello che so e quello che imparo può aiutare qualcun altro a non fare gli errori che ho fatto io (o che ho visto fare) mi dà una gioia incontenibile”, prosegue Cervellin. E proprio a lui abbiamo chiesto quali errori oggi è importante evitare in azienda.

Nato a Verona nel 1980, Davide Cervellin si laurea in Ingegneria Elettrica al Politecnico di Milano, per poi diventare un Analytics Leader fra i più influenti nel Data Driven business, ma da quattro anni si occupa di Marketing, Digital, Prodotto e General Management. E ovviamente anche lì raccoglie successi.

Dopo aver lavorato in aziende come Siemens, Vodafone, Pirelli, eBay, PayPal, Booking.com, Telepass, oggi ricopre il ruolo di Chief Marketing & Digital Officer in CairoRCS Media. 

Ho imparato (e tutt’ora imparo) un sacco e voglio condividere quello che so con il più alto numero possibile di persone che vogliono crescere. Cerco di condividere contenuti che avrei voluto per me stesso quando avevo 25 anni“, spiega Cervellin. Con lui abbiamo parlato di relazioni in azienda e work-life integration.

Davide, hai al tuo attivo un percorso professionale incredibile, in Italia e all’estero, hai supportato diverse start-up come advisor e coach, collabori con prestigiose università, come nasce Office of Cards?

Office of Cards è nato da un evento personale: la nascita della mia prima figlia. In quel momento mi sono reso conto che quando mia figlia inizierà a lavorare io sarò vicino alla pensione e ho pensato che fosse un peccato che tutto quello che ho imparato, e che inevitabilmente fra trent’anni mi ricorderò poco, non potrà essere utile alla persona alla quale vorrei maggiormente fosse utile.

Mi sono allora chiesto come rendere fruibile la conoscenza che avevo accumulato e ho pensato di documentare il mio percorso di apprendimento e crescita in modo pubblico, così che contestualmente potesse anche aiutare altre persone.

Da lì è nata prima l’idea di scrivere un libro, dove sostanzialmente ho raccolto quanto ho imparato sulla mia pelle nei miei primi quindici anni di vita professionale.

Dopodiché è nato un podcast con lo stesso nome del libro, dove ho pensato di dare maggiore enfasi al percorso degli altri. Dall’agosto dell’anno scorso ho deciso di arricchire l’offerta con altri due elementi: ho creato un canale YouTube e una newsletter.

Lavorare con mezzi e strumenti diversi, per me è un modo per fissare ciò che mi succede quotidianamente. perché la realtà è che si impara di continuo, ci capitano talmente tante cose che se non ci fermiamo un attimo a catturarle non ce ne accorgiamo nemmeno.

Dovendo scriverne ogni settimana sto attento a quel che mi capita, mi faccio delle domande, faccio ricerca, verifico che quel che scrivo abbia un senso logico, cerco degli esempi e via dicendo. Un’attività che serve a me in primis e che poi viene messa a disposizione di tutti.

Come hai scelto il nome Office of Cards?

Mi sono ispirato alla serie Netflix House of Cards che guardavo negli anni in cui ho scritto il libro e che mi piaceva molto, ma in realtà ha un doppio significato.

Il primo è proprio fare un richiamo a House of Cards dove hanno un grande peso le relazioni, la negoziazione, le strategie. In particolare, mi piacciono molto le dinamiche che si creano fra i vari personaggi, il fatto che quando interagiscono fra di loro cercano sempre di capire il punto di vista dell’altro per infilarcisi dentro e portarlo dalla loro parte.

Ecco, questo è il senso, secondo me, della vita in azienda, dove non c’è niente che tu possa fare da solo, devi sempre portarti a bordo altre persone, che siano colleghi, fornitori o clienti, e l’unica arma che hai a disposizione è la relazione. Quindi, come prima cosa, devi saperti relazionare con gli altri.

L’altro significato è la fragilità delle dinamiche relazionali in azienda. Una casa di carte è per definizione bellissima ma molto fragile. Per costruirla devi metterci impegno, pazienza e tanto tempo, ma in un attimo potrebbe cadere.

Allo stesso modo, spesso le relazioni in azienda si possono danneggiare facilmente, perché non sei stato attento a costruire la tua “casa di carte” o il tuo “ufficio di carte” in modo attento ed efficace.

La realizzazione della tua casa di carte è un lavoro che non è mai finito, puoi sempre aggiungere un pezzo. Ed è un’attività va costantemente curata, pianificata rafforzata.

Il mondo del lavoro e dell’impresa è profondamente cambiato. Quali sono, secondo te, i paradigmi più importanti su cui si devono basare oggi le regole del business?

Penso che uno degli assunti più importanti sia che le aziende devono mettere al centro il dipendente. Ed è un cambiamento che va visto sempre da più parti: quella del dipendente e quella dell’imprenditore/manager.

Ci sono tante persone che vedono il lavoro come un mi presento in ufficio e aspetto che mi dicano cosa fare. Questo approccio è sbagliatissimo perché questo tipo di comportamento porta poi al fatto che ci deve essere sempre qualcuno che ti dice cosa fare, altrimenti non fai niente, non crei valore.

I dipendenti devono oggi avere un approccio più proattivo al lavoro, avere un maggiore senso di autoresponsabilità e spirito imprenditoriale all’interno dell’azienda, cercando i problemi da risolvere, ma anche facendo andare di pare passo ciò che fanno con la mission aziendale, pretendendo che la mission aziendale venga loro spiegata bene qualora non fosse chiara.

Viceversa, la leadership deve cercare di creare delle policy che siano funzionali a questo tipo di approccio da parte delle persone all’interno dell’azienda, spiegando quelle che sono le priorità aziendali. Le decisioni dovrebbero essere prese seguendo un approccio inclusivo, basato su condivisione e confronto.

Ovviamente ci sarà una persona deputata a prendere la decisione finale, ma un conto è chiudersi in ufficio, girare la chiave della porta e decidere per conto proprio, un altro è indire una riunione, prendere in considerazione il punto di vista di tutti e nel momento in cui si dovesse optare per una decisione antitetica rispetto a quella di altri, va spiegato il motivo dietro alla scelta.

Qual è stato, secondo te, il principale elemento di rottura portato dal 2020 e dalla crisi pandemica?

Il 2020 ha portato un significativo cambiamento del modo di lavorare e secondo me il Covid ha anche accelerato in molte persone un fenomeno che è tipico della GenZ: ovvero la presa di coscienza che non viviamo per lavorare.

La generazione Zeta e quelle successive si stanno rendendo conto che il lavoro è una delle cose che concorre alla nostra vita non può rappresentare il 100%. Per questo oggi le aziende devono essere più consapevoli di quello che le loro persone vogliono e cambiare il tipo di relazione con loro.

Il 2020 ha, in pratica, accelerato una riformulazione di quella che era la definizione di work-life balance che è diventato work-life integration, dove vita professionale e privata vengono integrate all’interno della giornata lavorativa.

Secondo me più le aziende sapranno dare libertà più saranno in grado di attrarre e trattenere talenti.

Hai fatto moltissime interviste, qual è l’insegnamento più importante che ti hanno lasciato?

Ho capito ben presto che quello che intendo fare con Office of Cards è dimostrare a tutti che persone assolutamente normali possono fare cose assolutamente eccezionali.

Le persone che intervisto vanno al lavoro metropolitana, hanno sofferto, lavorano sodo e in questa loro “normalità” ti fanno veramente vedere il mondo con occhi differenti, mi aiutano a proiettarmi nella loro testa e così facendo ad avere la flessibilità di guardare i fenomeni che mi accadono quotidianamente con occhi molto diversi.

Si tratta di uno strumento incredibile perché quando vedi un problema che non riesci a risolvere, una delle tecniche più efficaci per risolverlo è proprio guardalo con occhi diversi.

Queste interviste mi hanno anche fatto capire che ognuno ha un suo ideale di felicità e successo, non esistono solo le vite “perfette” che ci propinano i social.

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