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1,3 milioni di richieste di lavoro senza candidati nei prossimi 4 anni

Il gap tra domanda e offerta è in aumento: tra le motivazioni, il calo demografico, la scarsa specializzazione e il fenomeno delle dimissioni volontarie

“Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono”: questo è il titolo di una recente indagine di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, presentata in occasione del Festival del Lavoro 2022, tenutosi a Bologna dal 23 al 25 giugno scorsi. Come riporta il titolo, la ricerca ha evidenziato il crescente divario tra domanda e offerta. Secondo le previsioni, entro il 2026, a fronte di un fabbisogno di circa 4,3 milioni di lavoratori, 1 milione e 350 mila posti potrebbero rimanere vacanti per assenza di candidati. In un momento d’incertezza e instabilità economica come questo sembra una cosa assurda. Eppure, dietro i numeri si nascondono delle motivazioni che trovano giustificazione nei cambiamenti sociali degli ultimi due anni.

Innanzitutto, da un punto di vista demografico. Tra il 2018 e il 2021, la popolazione in età da lavoro, ossia compresa tra i 15 e i 64 anni si è ridotta sensibilmente; ci sono 636 mila residenti in meno e 194 mila persone inattive in più, per un totale di 838 mila attivi in meno. L’allontanamento dal mondo del lavoro è dovuto a diverse cause, tra le quali: il rifiuto di lavori a bassa remunerazione; la crescita di forme di lavoro irregolare; l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici; una revisione delle priorità di vita nel dopo pandemia. Dal posto di lavoro, i candidati cercano uno stipendio migliore, possibilità di carriera, benessere e un maggior equilibrio tra vita privata e professionale.

Queste motivazioni sono all’origine del più esteso fenomeno della Great Resignation, che ha colpito in generale l’intero pianeta. Nel 2021 le dimissioni volontarie in Italia hanno raggiunto la quota record di quasi 1,9 milioni, in aumento dell’11,9% rispetto al 2019. Secondo i dati forniti da una recente indagine, condotta su un campione di 1.085 lavoratori, il 5,5% di essi ha cambiato lavoro negli ultimi due anni; il 14,4% si sta attivando per farlo; il 35,1% desidera una nuova occupazione.

Infine, un altro fattore penalizzante risiede nel mismatch tra offerta e domanda di formazione, che spiegherebbe la difficoltà di reperimento dei profili più specializzati. Nello specifico, il disallineamento più importante si registra nell’indirizzo giuridico-politico-sociale (12 mila laureati in meno), seguito dall’area economicostatistica (11mila in meno), ingegneria (quasi 9mila in meno) e medico-sanitaria (8 mila in meno).

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