Il revenge quitting è la nuova tendenza che vede sempre più dipendenti lasciare il lavoro improvvisamente come forma di protesta: il 4 % dei dipendenti full-time prevede di dimettersi per ripicca. Questo fenomeno è alimentato da frustrazione, burnout e mancanza di riconoscimento.
Revenge quitting: dalle dimissioni silenziose al licenziamento per ripicca
Nel periodo post-pandemico, la narrazione sui lavoratori demotivati era dominata dal fenomeno del quiet quitting, ovvero la riduzione silenziosa dell’impegno professionale. Oggi, l’attenzione si sposta sul revenge quitting, più rumoroso e impattante del primo.
Secondo un’indagine di Software Finder, il 4% dei dipendenti full-time prevede di dimettersi per ripicca nel 2025, con picchi del 7% fra i lavoratori ibridi. Il settore marketing-advertising, IT-tech e media-entertainment segnalano una maggiore propensione verso questa scelta. Episodi emblematici si sono verificati in Paesi ad alta flessibilità occupazionale, come l’Australia. Qui Grace Sarah, agente immobiliare con uno stipendio di 1.800 dollari a settimana, ha abbandonato il posto di lavoro senza preavviso, né risparmi, pur di sottrarsi a un ambiente ritenuto tossico.
Un altro caso emblematico, riportato dall’Anchorage Daily News, riguarda un lavoratore di nome Adam, che nel suo ultimo giorno di lavoro ha documentato una serie di violazioni delle norme di sicurezza, pubblicando successivamente il video online. La denuncia ha portato a sanzioni ufficiali per l’azienda. Questi gesti, apparentemente isolati, delineano una protesta attiva che mira a colpire l’organizzazione nel punto di massima vulnerabilità.
Le cause del malessere: burnout, mancanza di flessibilità e stagnazione salariale
Il carburante del revenge quitting è un profondo senso di frustrazione. Il Worklife Trends 2025 Report di Glassdoor indica che il 65 % dei dipendenti si sente “intrappolato” in impieghi tossici dalle 9 di mattina alle 5 di pomeriggio. La transizione forzata dallo smart working al lavoro in presenza ha accentuato ulteriormente il malessere. Privati della loro flessibilità, molti professionisti della Generazione Z percepiscono il rientro in ufficio come un passo indietro in termini di benessere e work-life balance.
Alla base di tutto questo, c’è anche la questione economica. Nello studio di Software Finder, il 48% degli intervistati lamenta salari bassi o mancanza di aumenti. Il 34% non si sente valorizzato, mentre il 33% non vede possibilità di avanzamento di carriera. In un contesto di incertezza macroeconomica, con un tasso di disoccupazione al 4,1% e oltre 278.000 persone in cerca di lavoro da dicembre 2024, l’idea di dimettersi resta comunque un rischio. Eppure, per una parte della forza lavoro, la spinta emotiva sovrasta la cautela: il gesto del revenge quitting diventa un modo per reclamare dignità professionale e visibilità.
Rischi e raccomandazioni: la prospettiva degli esperti HR
Gli specialisti di risorse umane mettono però in guardia, poiché il revenge quitting può compromettere il futuro professionale. Julie Lee Lee, co-presidente di Harvard Alumni for Mental Health, ricorda che una dimissione senza preavviso riduce le probabilità di ottenere positive referenze, ostacolando l’accesso a nuove opportunità. Inoltre, l’atto di rottura non risolve le cause di stress cronico. Il burnout richiede interventi strutturali, non un semplice cambio di azienda.
Per i datori di lavoro, il fenomeno è un campanello d’allarme: la retention non può più basarsi su benefit cosmetici, ma su politiche di ascolto, percorsi di crescita reali e rispetto dell’equilibrio vita-lavoro. Valutazioni periodiche del clima aziendale, flessibilità ibrida e piani di sviluppo personalizzati rappresentano strategie preventive indispensabili.
Sul versante dei lavoratori, gli analisti suggeriscono vie alternative alla dimissione vendicativa come il dialogo con il management, il ricorso a programmi di supporto psicologico, oppure transizioni programmate che lascino intatte le relazioni professionali. La protesta ha senso solo se non pregiudica il capitale reputazionale, risorsa chiave in mercati caratterizzati da rapidi cambi di competenze e reti di referenze interconnesse.