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Il lavoro che vogliamo

Lavoro: l’87% delle persone non è disposto a sacrificare la vita privata

La nuova indagine di Randstad ha fotografato un mercato del lavoro in profonda trasformazione. Il 57% degli intervistati sarebbe disposto a lasciare il proprio impiego se vissuto con disagio. Al giorno d’oggi, le persone non cercano più soltanto uno stipendio, ma un senso, una connessione e una direzione nel proprio lavoro.

Lavoro: da fonte di reddito a specchio dei valori personali

L’edizione 2025 del Randstad Workmonitor, condotto in 35 paesi del mondo, Italia compresa, offre una panoramica sull’evoluzione delle aspettative nel mondo del lavoro. La ricerca si articola intorno a tre pilastri fondamentali (perché, come e con chi lavoriamo), mettendo in evidenza un cambio di paradigma profondo e trasversale. Il lavoro non è più solo una fonte primaria di reddito, ma uno specchio dei valori personali, delle aspirazioni individuali e della qualità della vita delle persone.

Nello specifico, in Italia, i risultati della ricerca evidenziano tensioni e opportunità. Il 57% degli intervistati ha affermato che sarebbe disposto a lasciare il proprio impiego se vissuto con disagio, mentre il 46% considera lassenza di benefit una ragione sufficiente per dimettersi. Il dato più eloquente riguarda però l’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. L’87% degli intervistati non è disposto a sacrificare la propria vita privata. Una soglia che conferma il valore crescente della personalizzazione e della flessibilità nell’ambiente professionale.

Lavorare con senso di comunità

Il secondo asse dell’indagine riguarda la comunità lavorativa. I dati evidenziano chiaramente che la relazione con i colleghi non è un mero “aspetto accessorio”, ma un elemento fondamentale della quotidianità. In Italia, il 90% dei lavoratori socializza con i propri colleghi, mentre il 79% ritiene che la qualità del lavoro migliori se si costruiscono relazioni dal vivo. L’89% degli intervistati ha dichiarato che un forte senso di appartenenza ha effetti positivi sul benessere mentale e sulla produttività.

È interessante notare come, sebbene i lavoratori più anziani manifestino una preferenza spiccata per un ambiente comunitario, sono le generazioni più giovani ad agire come promotori del cambiamento, portando avanti istanze legate a inclusione, equità e diversità.

Inoltre, le relazioni tra colleghi sono percepite come fonte di crescita personale. L’85% dei lavoratori considera le differenze una risorsa e apprezza i team eterogenei come stimolo per l’apprendimento. Il luogo di lavoro diventa così uno spazio di reciprocità, dialogo e coesione, contribuendo alla costruzione di contesti aziendali più sani, felici e produttivi.

Il futuro passa dalla formazione

L’ultimo asse dell’indagine è dedicato alla formazione delle competenze “a prova di futuro”. Se da un lato, l’offerta aziendale continua a crescere (il 30% delle imprese ha aumentato gli investimenti in formazione), dall’altro permane un divario tra desiderio di crescita e opportunità reali. Solo il 42% dei lavoratori italiani ha effettivamente avuto accesso a percorsi formativi mirati, sebbene il 68% dichiari di sentirsi soddisfatto dei propri progressi (+6% rispetto all’anno precedente).

A livello generazionale, l’interesse per la formazione è trasversale, ma assume forme diverse. I boomers, in particolare, mostrano una crescente attenzione per l’Intelligenza Artificiale, con un incremento dell’8% nell’interesse complessivo per il tema rispetto al 2024. È significativo notare anche che il 40% degli intervistati non accetterebbe un lavoro privo di opportunità di crescita e che il 21% ha già lasciato un impiego per questo motivo.

Anche l’autonomia decisionale risulta in aumento (+17% nella libertà di scegliere quando lavorare, +10% su dove e +16% su quanto lavorare). Nonostante questo, il 28% dei lavoratori mostra segnali di distacco emotivo e riduzione intenzionale dell’impegno: un campanello d’allarme che sottolinea la necessità di un dialogo continuo e proattivo tra aziende e collaboratori.

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