Il lavoro domestico è settore strategico per il welfare familiare italiano, ma ancora in gran parte sommerso e privo di tutele. A rivelarlo, è il nuovo studio di Nuova Collaborazione con il Centro di Ricerca Luigi Einaudi, dalla quale si evince l’urgenza di una strategia condivisa per riconoscere il valore sociale di questo settore.
Lavoro domestico: un’economia invisibile che regge il Paese
Il lavoro domestico è una colonna portante del welfare familiare, ma resta un comparto largamente sottovalutato, segnato da irregolarità croniche, precarietà contrattuale e forte asimmetria di genere.
Secondo il rapporto “Lavoro domestico e formazione – Strategie per colmare il gender gap e valorizzare il welfare per le famiglie”, realizzato da Nuova Collaborazione e Centro di ricerca Luigi Einaudi, nel 2023 i lavoratori domestici regolari erano circa 834 mila, di cui il 90% donne. Le stime Istat, invece, parlano di oltre 1,6 milioni di persone effettivamente occupate nel settore, con un tasso di sommerso superiore al 50%.
Questa enorme “economia invisibile” è composta in larga parte da donne, spesso straniere, che si prendono cura di bambini, anziani e persone fragili, senza diritti né protezione. Nonostante il valore aggiunto del settore regolare sia stimato in 16 miliardi di euro (pari allo 0,74% del PIL nazionale), il comparto contribuisce da solo al 27% dell’intera economia sommersa italiana. Un dato allarmante, che mette in luce l’urgenza di riconoscere pubblicamente il ruolo sociale del lavoro di cura e di costruire un sistema normativo e fiscale più equo e accessibile per famiglie e lavoratori.
Disuguaglianze territoriali e gender gap
Lo studio ha evidenziato inoltre come il lavoro domestico rifletta in modo marcato le disparità territoriali del nostro Paese. Nel Nord-Ovest e nel Centro Italia, dove il tessuto economico è più solido e i servizi pubblici più strutturati, si concentra il maggior numero di contratti regolari. In Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, i lavoratori stranieri superano l’80% del totale, a testimonianza di una maggiore capacità di attrarre e integrare manodopera migrante. Al contrario, nel Mezzogiorno e nelle Isole il tasso di regolarizzazione è significativamente più basso. Inoltre, in alcune regioni, come Molise e Basilicata, la percentuale di lavoratori stranieri scende al di sotto del 40%.
Questo squilibrio ha ripercussioni dirette sull’occupazione femminile. In assenza di servizi pubblici adeguati, come asili nido e centri per anziani, le donne del Sud sono spesso costrette a rinunciare al lavoro per occuparsi dei familiari. Solo il 36% delle donne meridionali è occupato, contro il 60% di quelle del Nord. Il divario si acuisce con la nascita del primo figlio: mentre il reddito annuo degli uomini continua a crescere (+6% nel primo anno di paternità), quello delle donne crolla del 76%, con tempi di recupero che superano i cinque anni. Un disallineamento che evidenzia le criticità nella conciliazione fra vita lavorativa e cura, e la necessità di un intervento strutturale per arginare questo gender gap.
Un sistema più equo e sostenibile
Lo studio propone una strategia nazionale articolata su quattro direttrici, finalizzata a superare la frammentazione normativa e favorire la professionalizzazione del lavoro domestico. La prima misura è lo “zainetto fiscale”, un credito d’imposta individuale e flessibile destinato alle spese di cura e assistenza, pensato per semplificare e rendere equo l’accesso ai servizi. Segue un contributo pubblico per l’assunzione regolare di lavoratori certificati, modellato sull’Assegno Unico Universale, e un bonus per l’assunzione domestica che può arrivare fino all’84% del costo sostenuto da famiglie a basso ISEE e con lavoro full-time.
L’aspetto più urgente riguarda però la formazione. Ad oggi, solo il 4% dei lavoratori domestici possiede una certificazione formale, nonostante l’età media elevata (51,5 anni) e il crescente fabbisogno di competenze professionali nel settore. Da qui la proposta di istituire un Registro nazionale dei lavoratori certificati, accessibile online, e di standardizzare i percorsi formativi a livello regionale. L’obiettivo è quello di valorizzare il lavoro domestico, sottraendolo alla marginalità e restituendogli la dignità sociale ed economica che merita. Come ha dichiarato Alfredo Savia, Presidente di Nuova Collaborazione: “Il lavoro domestico non è più un’esigenza privata delle famiglie, ma una questione pubblica di responsabilità sociale e coesione”.