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Con la pandemia cresce l’incertezza sul lavoro: il 43% degli italiani teme di perdere il posto. La protezione dello stipendio primo obiettivo per il 54% dei lavoratori

Solo il 9% cerca attivamente un nuovo impiego e crolla del 10% la propensione ad avviare un’attività. Tra i principali obiettivi le politiche per la salute, la comunicazione trasparente e la formazione. I risultati dell’indagine di Randstad sull’impatto del Covid 19 sul mercato del lavoro

L’emergenza sanitaria ha minato le certezze degli italiani sul lavoro, ha acuito timori e fatto cambiare le priorità. Oggi ben il 43% dei lavoratori teme di perdere il posto o non si sente sicuro del proprio impiego, contro il 36% registrato lo scorso anno. La percentuale registrata in Italia è la più alta tra i principali Paesi europei, nel Regno Unito e in Spagna questo timore interessa infatti il 39% dei lavoratori, in Francia il 31% e in Germania il 30%.

L’incertezza fa anche crescere l’attaccamento all’impiego attuale, con il 72% degli italiani che si dice soddisfatto del proprio lavoro, +3% rispetto a dodici mesi fa, mentre scende la percentuale di coloro che si dicono insoddisfatti (dal 10% al 6%) e solo il 9% sta cercando attivamente una nuova posizione (contro il 12% di fine 2019), anche se non manca l’attenzione a nuove opportunità con il 25% che si sta guardando attorno (+3%). Diminuisce anche il numero di coloro che pensano di avviare un’attività (dal 58% al 48%), dato che ci colloca al penultimo posto tra i Paesi esaminati e davanti solo ai francesi (38%) e dopo inglesi (54%), spagnoli (51%), e tedeschi (50%).

È quanto emerge del Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad, che ha analizzato la capacità di adattamento dei lavoratori all’emergenza Covid 19 e la loro percezione sul mercato del lavoro post pandemico. La ricerca è stata condotta a fine 2020 in 34 Paesi del mondo su un campione di oltre 800 lavoratori.

Le preoccupazioni per l’attuale situazione porta poi una buona parte di italiani ad affermare di essere disposta ad accettare qualche compromesso, come una riassegnazione di ruolo all’interno dell’azienda (29%), la cassa integrazione o una riduzione dell’orario di lavoro (21%), oppure un aumento dell’orario con lo stesso stipendio (17%), la perdita di benefit (15%), un contratto a termine (10%) o un taglio dello stipendio (8%).

Anche gli obiettivi per il lavoro post pandemia risentono del clima di incertezza. Al primo posto i lavoratori mettono, infatti, la protezione dello stipendio, indicata dal 54% del campione, seguita dal rafforzamento delle politiche per la salute e dei protocolli di sicurezza sanitaria (41%) e dalla comunicazione trasparente (39%), poi la partecipazione a corsi di formazione (36%), la disponibilità di un’assicurazione sanitaria (32%), maggiore sicurezza online e di persona (25%), la collaborazione all’interno del team (24%), le attrezzature e le tecnologie per poter lavorare da remoto (24%), le sicurezze lavorative (22%), i programmi di assistenza ai dipendenti come il supporto psicologico (21%, -1%), le risorse per i dipendenti (ad esempio il gruppo genitoriale, 15%). Interessanti le differenze emerse per genere e per età: gli uomini, oltre alla protezione dello stipendio, sono interessati soprattutto alla comunicazione trasparente e ai corsi di formazione, mentre le donne danno priorità alle politiche per la salute, all’assistenza anche psicologica, alla collaborazione nel team e alle risorse come i gruppi genitoriali per dipendenti. Per i più giovani è poi fondamentale la formazione, mentre i senior si concentrano sulle politiche per la salute e guardano alle sicurezze lavorative con molto più interesse.

Tre italiani su quattro hanno poi indicato che il lavoro post emergenza sanitaria dovrebbe essere “flessibile”, con la possibilità di lavorare sia da casa, sia in ufficio (indicata dal 48% dei lavoratori) oppure con autonomia e flessibilità di scelta di luogo o orario di lavoro (26%), mentre solo l’11% vorrebbe lavorare sempre nella propria abitazione e il 15% sempre in ufficio.

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