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Lavoro povero in Italia: 6 milioni di persone guadagnano circa 1.000 euro al mese

Contratti precari, part-time involontari e salari bassi. Secondo l’ultimo studio della Cgil, il lavoro povero in Italia coinvolge milioni di lavoratori dipendenti. Una realtà allarmante che continua a minacciare il benessere economico delle persone.

Lavoro povero in Italia: un fenomeno allarmante

Il fenomeno del lavoro povero è tutt’altro che marginale in Italia. Secondo un recente studio, pubblicato dall’Ufficio Economia della Cgil e basato sui dati Inps del 2023, almeno 6,2 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato guadagnano meno di 15 mila euro lordi all’anno, equivalenti a circa mille euro netti mensili. Si tratta di un dato che coinvolge il 35,7% della forza lavoro privata. Complessivamente, i lavoratori con redditi inferiori ai 25 mila euro lordi all’anno sono 10,9 milioni, il 62,7% del totale. Pur registrando una leggera diminuzione rispetto al 2022 (quando erano il 65%), queste cifre rimangono preoccupanti e indicano quanto sia diffusa la condizione di lavoro povero in Italia.

Contratti precari e part-time involontari

Le cause principali del lavoro povero in Italia sono individuabili nella tipologia contrattuale e nell’orario lavorativo. In particolare, i lavoratori con contratti a termine percepiscono un salario lordo annuo medio di appena 10 mila e trecento euro, mentre i dipendenti con contratti part-time arrivano a 11 mila e ottocento euro. Ancora più grave è la condizione di chi cumula le due situazioni: per loro, lo stipendio annuale lordo medio scende fino a 7 mila e cento euro. Un altro fattore critico è l’alta percentuale di part-time involontari. Nel 2023, in Italia, si attestava al 54,8%, la percentuale più elevata dell’Eurozona e la seconda più alta dell’intera Unione Europea.

Salari bassi e contratti non rinnovati

A peggiorare ulteriormente il quadro, intervengono altri due fattori: la bassa retribuzione oraria e la discontinuità lavorativa. Circa 2,4 milioni di lavoratori dipendenti ricevono meno di 9,5 euro lordi all’ora, mentre l’83,5% dei rapporti di lavoro conclusi nel corso del 2023 ha avuto una durata inferiore a un anno, con il 51% di questi che non ha superato i 90 giorni. Altro problema rilevante è rappresentato dai ritardi nei rinnovi contrattuali. Secondo l’Istat, a dicembre del 2023 ben 6,5 milioni di dipendenti erano in attesa di rinnovo, con tempi medi di passaggio da un contratto scaduto a quello successivo di circa 32,2 mesi.

Come dichiarato dalla segreteria confederale della Cgil, l’insieme di questi fattori (precarietà, part-time involontario, inflazione e ritardi nei rinnovi contrattuali) sta creando una situazione di grande disagio, in cui milioni di italiani, pur lavorando, sono sempre più poveri. Una sfida urgente che richiede misure concrete per garantire salari dignitosi e una maggiore stabilità lavorativa.

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