Papa Francesco ha rivoluzionato la gestione economica della Chiesa, introducendo rigore, trasparenza e tagli agli stipendi. Un cambio di rotta che ha acceso l’interesse su quanto guadagnano oggi preti, vescovi e cardinali.
Stipendi nella Chiesa: la rivoluzione silenziosa di Papa Francesco
Sin dal suo insediamento nel 2013, Papa Francesco ha avviato un processo di riforma volto a ridefinire l’economia del Vaticano. Il pontefice ha rinunciato allo stipendio papale di circa 2.500 euro mensili e ha scelto di vivere alla Domus Sanctae Marthae, rinunciando all’appartamento pontificio. Un gesto simbolico ma potente, che ha segnato un cesura con il passato.
Nel 2021, nel pieno della crisi pandemica, il Papa ha disposto tagli generalizzati agli stipendi del clero: -10% per i cardinali, -8% per i capi di dicastero e -3% per sacerdoti e religiosi. Una misura adottata per far fronte a un bilancio deficitario e al crollo delle entrate.
Le riforme poi si sono intensificate negli anni successivi. Nel 2024 sono state sospese alcune indennità storiche, come la Gratifica per la Segreteria e l’Indennità di Ufficio, mentre nel 2025 Bergoglio ha chiesto formalmente alle istituzioni vaticane di puntare al deficit zero e di reperire fondi esterni in modo etico e trasparente.
Il Papa ha anche rilanciato il tema della responsabilità nella gestione delle risorse ecclesiastiche, paragonando la sua opera riformatrice a un meticoloso lavoro di pulizia: “spolverare la Sfinge con lo spazzolino da denti”.
Gerarchia e compensi: come funziona il sistema retributivo ecclesiastico
Il sistema degli stipendi nella Chiesa si basa su criteri precisi come ruolo, anzianità, responsabilità e posizione gerarchica. I preti percepiscono uno stipendio medio mensile che si aggira intorno ai 1.200 euro, con variazioni a seconda dell’incarico pastorale e delle responsabilità. I vescovi, invece, possono percepire anche 3.000 euro al mese, sempre a seconda dell’anzianità e delle responsabilità ricoperte.
Per i cardinali della Curia Romana, prima dei tagli imposti da Papa Francesco, lo stipendio si attestava tra i 4.000 e i 5.500 euro mensili. Oggi, dopo le riforme, la media si è assestata intorno ai 5.000 euro. Oltre allo stipendio, i cardinali godono di residenze messe a disposizione dalla Chiesa e di benefit che alleggeriscono le loro spese personali.
Nel caso in cui un ecclesiastico percepisca altre entrate, ad esempio da incarichi o rendite, l’Istituto per il Sostentamento del Clero eroga solo la quota necessaria per raggiungere il tetto massimo previsto per la carica ricoperta. Il principio è quello di evitare accumuli e garantire un’equa distribuzione delle risorse.
Voti di povertà e compensi simbolici: frati, suore e il caso Bergoglio
Diverso è il discorso per i religiosi appartenenti a ordini monastici o congregazioni. Frati e suore, legati dal voto di povertà, non ricevono stipendi fissi, a meno che non svolgano mansioni specifiche (insegnanti, infermieri o amministrative) regolate dai contratti collettivi nazionali. Il loro sostentamento proviene generalmente dalla comunità religiosa di appartenenza, tramite donazioni e attività economiche collettive.
È interessante notare che anche Papa Francesco, pur avendo diritto a un compenso simbolico, ha rinunciato a qualsiasi forma di stipendio personale. Ha attinto con sobrietà e trasparenza ai fondi dell’Obolo di San Pietro, riservato ai progetti benefici della Chiesa, e ha donato parte dei suoi fondi personali a iniziative solidali, come il finanziamento di un pastificio gestito da detenuti a Roma.
In un’epoca in cui la trasparenza è richiesta a gran voce da ogni istituzione, la riforma del reddito nella Chiesa si configura come un tentativo concreto di riportare coerenza tra il messaggio evangelico e la pratica amministrativa, con l’obiettivo di ridurre il divario tra clero e fedeli.